Un diritto alla settimana: verso la Marcia per la Pace. Articolo 27

Dopo la pausa estiva di Agosto, riprende la nostra maratona di diritti verso la Marcia Perugia-Assisi 2016.


 

Articolo 27

1. Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici. 
2. Ogni individuo ha diritto alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da ogni produzione scientifica, letteraria e artistica di cui egli sia autore.


  • Articolo 27 – Contro l’omologazione. Commento del prof. Antonio Papisca, Cattedra UNESCO Diritti umani, democrazia e pace presso il Centro interdipartimentale sui diritti della persona e dei popoli dell’Università di Padova

Quanto dispone l’Articolo 27 è infatti all’insegna della libera fruizione del bello e della creatività in tutti campi, dalla letteratura e dalla poesia alla scienza e a tutte le forme artistiche.
La dimensione umanistica che pervade il diritto e il sapere dei diritti umani trova qui esplicito riconoscimento ed incentivo. C’è il respiro dell’umanesimo integrale, che tonifica la persona nel suo tendere al benessere fisico e psichico.
Il sapere dei diritti umani è, in quanto tale, il sapere del bello, perché è il sapere degli universali che pone al centro l’immenso valore della dignità della persona segnata dalla ragione e dalla coscienza.

La creatività culturale, artistica, scientifica non è fine a se stessa. Essa è in funzione della ricerca della verità nelle sue varie forme. E poiché la verità rende liberi, quello della creatività umana è un percorso di conquista e fruizione di tutte le libertà fondamentali.
Nella congerie di malattie, povertà estrema, violenze, disoccupazione e precarietà del lavoro, corsa al riarmo, inquinamento e distruzione dell’ambiente naturale che, in tutte le parti del mondo, angosciano la vita quotidiana di centinaia e centinaia di milioni di “membri della famiglia umana”, è anche per me difficile procedere sul filo della bellezza e della creatività culturale, artistica e scientifica.

Ma l’inno al bello, alla creatività e alla crescita culturale, come l’inno alle libertà “da” e “per”, è la denuncia più forte che si possa fare delle privazioni e delle umiliazioni cui sono sottoposti tanti esseri umani e le loro famiglie.
Con questa premessa, cercherò comunque di procedere nella sintetica interpretazione dell’Articolo 27. Nell’Articolo in questione si parla di cultura, di arte, di scienza, di partecipazione alla vita culturale e artistica, nonché ai “benefici” (non agli orrori, si badi bene) della scienza.

Cultura e vita culturale hanno ovviamente un significato molto ampio e le definizioni sono innumerevoli. Sociologi, antropologi e filosofi da sempre sono impegnati su questo terreno. La cultura è da intendere non come una statica icona, ma dinamicamente, come un processo che si modifica, evolve o anche involve. Questa dinamica è fatta di credenze, simboli, norme, riti, abitudini, comportamenti che variano a seconda dei luoghi in cui le comunità umane – possiamo anche dire: le ‘articolazioni’ sociali della ‘famiglia umana’ – hanno costruito e vivono le loro specifiche storie.
Poesia, arti visive, musica, scienza sono tra quei beni, immateriali nella loro essenza, che più si fruiscono più si moltiplicano. Fa parte della cultura, anzi del patrimonio culturale, non soltanto tutto ciò che ha il sigillo ufficiale dell’UNESCO come “patrimonio dell’umanità” (World heritage), ma anche altri elementi della produzione culturale (letteraria, artistica, scientifica) che contribuiscono a fare identità e segnano la storia delle comunità umane.

Oggi, nel mondo globalizzato al positivo e al negativo, la vita dei popoli, dei gruppi, delle famiglie, degli individui, “interdipende”. L’interdipendenza planetaria è squilibrata, ci sono popoli e gruppi che, più che interdipendere, dipendono. I territori, anche quelli che per secoli sono stati caratterizzati da mono-culture nazionali, si multi-culturalizzano.
Il campo è aperto per ricercare insieme e condividere un paradigma di valori universali. E’ il campo privilegiato, tipicamente, dalle attività dell’Unesco intese a elucidare concetti e costruirvi sopra accordi internazionali e programmi di cooperazione. Giova ricordare qualche punto della sua Costituzione: “poiché le guerre nascono nelle menti degli uomini, è nelle menti degli uomini che devono essere costruite le difese della pace”; “la reciproca ignoranza di storie e modi di vivere è stata causa comune, nella storia dell’umanità, di quel sospetto e di quella mancanza di fiducia tra i popoli che hanno fatto sì che le differenze siano spesso sfociate nella guerra”;  “la più ampia diffusione della cultura e l’educazione dell’umanità per la giustizia, la libertà e la pace sono indispensabili alla dignità della persona e costituiscono sacro dovere al quale tutte le nazioni devono adempiere in uno spirito di reciproca assistenza e impegno”.
L’Unesco è, per sua originaria vocazione, assertrice di interculturalità. La sua Conferenza generale ha adottato il 20 ottobre 2005 (con i soli voti contrari di Usa e Israele) la Convenzione “sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali”, entrata in vigore il 18 marzo 2007, grazie anche alla rapidità con cui tutti gli stati membri dell’UE l’hanno ratificata.
Gli assunti da cui parte la Convenzione sono così riassumibili: la diversità delle culture è patrimonio comune dell’umanità e deve essere custodita a beneficio di tutti; l’interazione e la creatività nutrono e rinnovano le espressioni culturali; attività, beni e servizi culturali, poiché servono a trasmettere identità, valori e significati non devono essere trattati come aventi un valore soltanto commerciale.
Ci si domanda se tutte le culture abbiano diritto di reclamare il rispetto e la garanzia internazionale. Nella Convenzione citata, l’Unesco fissa dei paletti nella forma di “principi-guida”. Il primo di questi  riguarda il rispetto dei diritti umani: “La diversità culturale può essere protetta e promossa soltanto se i diritti umani e le libertà fondamentali, quali la libertà di espressione, di informazione e di comunicazione, così come la capacità degli individui di scegliere le espressioni culturali, sono garantiti. Nessuno può invocare le disposizioni di questa Convenzione allo scopo di violare i diritti umani e le libertà fondamentali quali sanciti nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani o garantiti dal diritto internazionale”.

Quella cultura che alberghi nel suo seno, e insista nel perpetuare, principi che siano in contrasto con quanto prescrive il Diritto internazionale dei diritti umani in forma di divieti assoluti (discriminazione uomo-donna, discriminazione razziale, esaltazione della guerra, ecc.), non è legittimata a rivendicare il rispetto della sua identità. Certamente, non saranno i bombardamenti e le occupazioni territoriali gli strumenti né legittimi, né efficaci, per favorire la graduale trasformazione di quella cultura.
La omologazione culturale è la peggiore nemica della cultura come ricchezza “liberamente” conquistata e sviluppata. Omologazione significa distruzione di identità, impoverimento del patrimonio culturale, ostacolo alla creatività culturale e artistica. Se deliberatamente perseguita, è marcata dal segno dell’egemonismo di questo o quello stato, di questa o quella centrale di potere economico, finanziario, tecnologico, va nella direzione opposta a quella prescritta dalla citata Convenzione dell’Unesco. Il nazionalismo è, allo stesso tempo, omologazione ed esclusione.
Le scoperte e le creazioni della scienza e dell’arte non devono restare confinate dentro sfere elitarie e impermeabili, poiché esse costituiscono dono alla comunità per l’arricchimento culturale e sprituale di tutti, senza che ciò costituisca sottrazione di titolarità e di merito a chi li ha prodotti (copy rights, brevetti).
In virtù del Diritto internazionale dei diritti umani gli Stati hanno l’obbligo di rendere possibile non soltanto la fruizione di beni culturali, artistici e scientifici esistenti, ma anche la creazione di nuovi mediante incentivi alla ricerca e alla produzione artistica.
L’Articolo 15 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali stabilisce puntualmente al riguardo: “2. Le misure che gli Stati parti del presente Patto prenderanno per conseguire la piena attuazione di questo diritto comprenderanno quelle necessarie per il mantenimento, lo sviluppo e la diffusione della scienza e della cultura”.
La scienza e le arti devono essere libere. Coerentemente con questo assunto, il terzo comma del citato Articolo obbliga gli Stati “a rispettare la libertà indispensabile per la ricerca scientifica e l’attività creativa”.

La scienza e le arti possono fare molto per la causa dei diritti umani. Si pensi alla ricerca nel campo della medicina o in quello della difesa dell’ambiente naturale. Si pensi a certi brani musicali che hanno ispirato e ispirano movimenti sociali di promozione umana. Le arti sono potenti strumenti di comunicazione, di identificazione spirituale, sociale e politica, di dialogo interculturale. Costituiscono codici ricchi di simboli comunicativi. Si può prendere come esempio la musica perchè è la più impalpabile, la più spirituale, forse la più universale (se possibile) delle arti, e allo stesso tempo la più materialmente codificata: il ‘pentagramma’ è un esperanto ante litteram, di universale conoscenza e fruizione. Si pensi a cosa significa suonare insieme o cantare insieme per il rispetto di un medesimo codice di regole e per la pratica della socializzazione. Un’orchestra o un coro polifonico sono dei paradigmi di “unità nella diversità”.
Si può parlare di etica anche per la scienza e le arti? Una possibile risposta sta nell’Articolo 1.2 dello Statuto che l’Università di Padova, fondata nel 1222, ha rinnovato nel 1995: “L’Università degli Studi di Padova, in conformità ai principi della Costituzione della Repubblica Italiana e della propria tradizione che data dal 1222 ed è riassunta nel motto “Universa Universis Patavina Libertas”, afferma il proprio carattere pluralistico e la propria indipendenza da ogni condizionamento e discriminazione di carattere ideologico, religioso, politico o economico. Essa promuove l’elaborazione di una cultura fondata su valori universali quali i diritti umani, la pace, la salvaguardia dell’ambiente e la solidarietà internazionale”.

  • Film consigliato Come te nessuno mai, regia di Gabriele Muccino (1999) – da My Movies

Muccino, decide di raccontare le occupazioni attuali messe a confronto con la mitologia sessantottina, ora appannaggio di una generazione di genitori incerti. Tenerezze casalinghe senza troppa nostalgia, con sicura guida della credibile Galiena. I ragazzi di questo film lavorano con abilità consumata, ridando puntualmente la battuta ai “grandi”. Un piccolo film che è risultato giustamente gradito a quanti (e non sono, purtroppo, molti) sono riusciti a vederlo.

  • Salvatore Settis, Cultura bene comune da L’Italia dei beni culturali: i nodi del cambiamento. Ricordando l’impegno e le proposte di Giuseppe Chiarante, Roma, Senato della Repubblica, Sala Capitolare, 3 dicembre 2013

Parlare di cultura come bene comune vuol dire parlare di Costituzione. E parlare di Costituzione oggi vuol dire riflettere su un orizzonte di valori che è quotidianamente sotto attacco, e anzi a rischio di demolizione. Nessun Paese al mondo ha una Costituzione che affermi il diritto alla cultura con tanta forza e coerenza come fa la nostra Carta fondamentale; eppure nessun Paese in Europa ha tagliato gli investimenti pubblici in questo settore quanto l’Italia. Nota:tutti gli  aggiornamenti a riguardo   sono descritti da un articolo di Salvatore Settis su Repubblica del 4 febbraio 2016 :Paesaggio come bad company). Basti un confronto: 26 miliardi di spese militari, più i 13 miliardi previsti per l’acquisto di bombardieri F-35. Trentanove miliardi per prepararsi a bombardare gli altri, un miliardo per coltivare la pace e formare i cittadini. ( nota e questo nel 2013) Questo disequilibrio la dice lunga: esso non è l’effetto di disattenzione ma di malgoverno, non è disordine amministrativo ma voluta marginalizzazione della cultura. Non è miopia, è cecità. Non è leggerezza, è suicidio. E’ su questo sfondo che, in un Paese oggi affetto da una crisi collettiva di memoria, dobbiamo ricordare a noi stessi che la cultura, secondo la Costituzione, è un bene comune. Secondo il nostro ordinamento, i valori della cultura (per esempio la tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico) non sono un tema “di nicchia”, ma appartengono a una sapiente architettura di diritti che si lega strettamente agli orizzonti fondamentali della democrazia: eguaglianza, libertà, equità sociale, dignità della persona umana. Di tali orizzonti la nostra Costituzione è il perfetto manifesto, anche se, come diceva Calamandrei, essa è davvero “la grande incompiuta”: ma questa sua perenne, feconda incompiutezza non è affatto una ragione per cambiarla, bensì per esigere che venga finalmente messa in pratica.
Corre oggi nel Paese, prendendo talvolta i colori dell’indignazione, talaltra quelli della rassegnazione e della rinuncia, una domanda, questa: è ancora possibile progettare un futuro in cui abbiano cittadinanza valori come giustizia equità democrazia libertà? In cui il cuore della politica sia non la geometria variabile delle alleanze o delle “intese”, ma la forte trama dei diritti civili? Sarà possibile, io credo, solo se sapremo ricollocare il bene comune al centro di un nuovo discorso sulla cittadinanza. E in questo discorso, come proverò ora a dire, la cultura ha un ruolo essenziale, pienamente riconosciuto dalla Costituzione.

Questo ruolo non può essere inteso senza evocare, oltre che quello di bene comune , alcuni altri concetti-chiave:  popolo, cittadino, lavoro, solidarietà.

• Il bene comune è il principio ordinatore della Costituzione, che lo definisce come «interesse della collettività» (art. 32), «interesse generale» (artt. 35, 42, 43 e 118), «utilità sociale» e «fini sociali» (art. 41), «funzione sociale» (artt. 42, 45), «utilità generale» (art. 43), «pubblico interesse» (art. 82). Espressioni non coincidenti, ma convergenti, che si integrano l’una nell’altra in una coerente architettura di valori.

• Popolo è la parola più pregnante per designare il soggetto collettivo che è il protagonista della Costituzione: ad esso appartiene la sovranità (art. 1), e perciò in suo nome viene amministrata la giustizia (art. 101).

• Al popolo come soggetto collettivo corrisponde una parola altrettanto ricca di senso,cittadino. Il cittadino è per definizione membro del popolo, e dunque titolare della sovranità. Perciò «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge», ed «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana» (art. 3). Ai cittadini spettano diritti inviolabili come la libertà (artt. 13, 15, 16), e in particolare la libertà di riunione (art. 17), di associazione (artt. 18 e 49), di culto (art. 19), di parola, di pensiero e di stampa (art. 21): diritti, tutti, connnessi strettamente con la libertà della cultura.

• Un altro grande tema della Costituzione, il lavoro, ricorre sin dall’incisiva definizione dell’art. 1: «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro»; ed è al cittadino-lavoratore che l’art. 36 assicura una «esistenza libera e dignitosa». Perciò, recita l’art. 4, «la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto».

• Infine, i valori del bene comune e l’etica del lavoro e della cittadinanza determinano nella Costituzione i «doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» richiesti ai cittadini (art. 2).

Ma il cittadino-lavoratore non può essere consapevole protagonista della vita economica e sociale del Paese senza un ingrediente essenziale: il diritto alla cultura.

Mirata al bene comune è infatti anche la centralità della cultura scolpita nell’art. 9, «il piú originale della nostra Costituzione» (Ciampi) : «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Cultura, ricerca, tutela contribuiscono al «progresso spirituale della società» (art. 4) e allo sviluppo della personalità individuale (art. 3), legandosi strettamente alla libertà di pensiero  (art. 21) e di insegnamento ed esercizio delle arti (art. 33), all’autonomia delle università, alla centralità della scuola pubblica statale, al diritto allo studio (art. 34). Inoltre la Corte costituzionale, ragionando sulla convergenza fra tutela del paesaggio (art. 9) e diritto alla salute (art. 32) ha stabilito che anche la tutela dell’ambiente è un «valore costituzionale primario e assoluto» in quanto espressione di un interesse diffuso dei cittadini, che esige un identico livello di tutela in tutta Italia, come mostra nell’art. 9 il cruciale termine Nazione.

La creazione in via interpretativa di questa avanzatissima nozione costituzionale di “ambiente” è la prova provata, se ce ne fosse mai bisogno, di quanto la Costituzione sia lungimirante; e che essa, dunque, non va cambiata, ma interpretata e soprattutto applicata. E non possiamo guardare senza diffidenza e timore a chi pretende di cambiarne non meno di 64 articoli dicendo, sì, che intende lasciare inalterata la prima parte, quella dei principi fondamentali: ma nulla fa e nulla dice sulla necessità di mettere in pratica quei principi. Come stanno insieme, per fare un solo insieme, il diritto al lavoro dell’art. 4 Cost. e la crescente, drammatica disoccupazione giovanile il cui radicarsi ormai endemico è palese conseguenza di una cieca “austerità”, di una politica che si scrive “stabilità” e si legge “stagnazione”?

Ora, secondo la nostra Costituzione il diritto al lavoro e la dignità della persona si legano alla stessa concezione secondo cui ambiente, paesaggio, beni culturali formano un insieme unitario e inscindibile la cui estensione corrisponde al territorio nazionale; fanno tutt’uno con la cultura, l’arte, la scuola, l’università e la ricerca. Con esse, concorrono in misura determinante al principio di uguaglianza fra i cittadini, alla loro «pari dignità sociale» (art. 3), alla libertà e alla democrazia: perciò la loro funzione è costituzionalmente garantita. Il noto adagio di Calamandrei («La scuola, come la vedo io, è un organo “costituzionale”») può perciò applicarsi anche alle altre istituzioni culturali, dalle università alle accademie ai musei ai teatri.

Questi principi costituzionali configurano quel che si può chiamare a buon diritto il diritto alla cultura che la Costituzione italiana, caso rarissimo nel panorama mondiale delle Costituzioni, assicura ai propri cittadini. La cultura fa parte dello stesso identico orizzonte di valori costituzionali che include il diritto al lavoro, la tutela della salute, la libertà personale, la democrazia. Perciò dobbiamo, è vero, rilanciare l’etica della cittadinanza, puntando su mete necessarie come giustizia sociale, tutela dell’ambiente, diritto al lavoro, priorità del bene comune sul profitto del singolo, democrazia, uguaglianza. Ma perché queste mete siano praticabili e concrete è altrettanto necessaria la piena centralità della cultura.

Se concepiamo la cultura come il cuore e il lievito dei diritti costituzionali della persona e insieme il legante della comunità, capiremo che essa è funzionale alla libertà, alla democrazia, all’eguaglianza, alla dignità della persona. Che difendere il diritto alla cultura è difendere l’intero orizzonte dei nostri diritti: perché i diritti, se non li difendi, li perdi. Ma se non li conosci, non saprai difenderli. La funzione della cultura è anche questa: farci conoscere i nostri diritti, lo spessore storico, filosofico, etico, religioso dal quale essi provengono. Il futuro che ci permettono di costruire, e per converso il buio in cui precipiteremo se riunceremo a difenderli.
Anche questo è il compito di chi pratica le scienze storiche: ricordarsi e ricordare che la storia non è evasione, non è una via di fuga dal presente, una sorta di tranquillante che ci allontana dalle urgenze dell’oggi. Al contrario, la storia può aiutarci a interpretare le radici delle nostre urgenze e dei nostri problemi: per dar corpo e ragione ai nostri disagi.
Secondo un detto famoso, «la storia è maestra della vita». Ma proviamo a capovolgerlo, quel detto: possiamo dire infatti, a ragion veduta, che la vita è maestra della storia: sono le urgenze del presente che ci spingono a rileggere le vicende del passato non come mero accumulo di dati eruditi, non come polveroso archivio, ma come memoria vivente delle comunità umane. Solo questa concezione degli studi storici può trasformare la consapevolezza del passato in lievito per il presente, in serbatoio di energie e di idee per costruire il futuro. E’ infatti dovere, anzi mestiere, degli storici coltivare uno sguardo lungo, una visione delle cose e degli uomini che riguarda tanto il passato quanto l’avvenire, premessa necessaria per provare a costruire un futuro diverso e migliore.

Ricordiamo dunque, perché sempre attuale, il forte ammonimento di Bertolt Brecht «per la difesa della cultura» al I e al II congresso internazionale degli scrittori: «Si abbia pietà della cultura, ma prima di tutto si abbia pietà degli uomini! La cultura è salva quando sono salvi gli uomini. Non lasciamoci trascinare dall’affermazione che gli uomini esistono per la cultura, e non la cultura per gli uomini. (…) Riflettiamo sulle radici del male! (…) scendiamo sempre più in profondo, attraverso un inferno di atrocità, fino a giungere là dove una piccola parte dell’umanità ha ancorato il suo spietato dominio, sfruttando il prossimo a prezzo dell’abbandono delle leggi della convivenza umana (…), sferrando un attacco generale contro ogni forma di cultura. Ma la cultura non si può separare dal complesso dell’attività produttiva di un popolo, tanto più quando un unico assalto violento sottrae al popolo il pane e la poesia».

Per condurre questa battaglia non c’è arma migliore della Costituzione. Dalla nostra giusta indignazione deve nascere un rinnovato esercizio del diritto di resistenza, altissimo principio che percorre tutta la storia italiana. Ne ricorderò, per concludere, due soli momenti: il primo è l’art. 15 della Costituzione della Repubblica partenopea del 1799, secondo cui la resistenza è «il baluardo di tutti i diritti». Il secondo è un articolo della nostra Costituzione che fu proposto da Giuseppe Dossetti nella seduta della Costituente del 21 novembre 1946: La resistenza individuale e collettiva agli atti dei poteri pubblici che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione è diritto e dovere di ogni cittadino.
Io vorrei che noi tenessimo fede a questo articolo, che non è entrato nella Costituzione ma ne rispecchia in pieno lo spirito. Oggi più che mai, per sfuggire agli illusionismi che ci assediano, lo spirito della Resistenza è necessario per ricreare una cultura della cittadinanza capace di muovere le norme e di progettare il futuro.

  • Frasi tratte dal libro: Fondata sulla cultura; Gustavo Zagrebelsky; editore La feltrinelli 2014

“La costituzione, nel senso suo piú profondo e sostanziale, è l’organizzazione di questa triade:economia, per assicurare i beni materiali; politica, per assicurare ordine e sicurezza; cultura, percreare senso d’appartenenza.”

“I messaggi immediati appartengono alla comunicazione; i libri, alla formazione. Lacomunicazione vive dell’istante, la formazione si alimenta nel tempo.”

  • Da www.sipsalute.it – Scienza e arte

Platone nel Fedro considerava la salute del corpo e quella dell’anima come due aspetti di un unico equilibrio umano complessivo. Il tema della salute era pure presente nell’utopia della Repubblica. Qui Platone descriveva la salute come rettitudine del cittadino nella società ideale e come un’armonia nella quale tutto si accordava persino il problema spiacevole del dominio e della sottomissione.

La comprensione dell’uomo e del mondo sociale nella concezione platonica affondava le radici nella filosofia. Spettavano ai filosofi la riflessione sull’anima e sulla società, l’esame degli enunciati e delle affermazioni che permettevano di contemplare la verità, la bontà, la bellezza, la ricerca delle virtù chiamate a guidare in maniera assoluta l’uomo nelle proprie scelte di vita.

I filosofi per questo erano chiamati a dirigere e governare lo Stato tramite le Leggi, ignorando nelle loro decisioni la personalità e i diritti dei singoli cittadini e togliendo di mezzo la fonte delle contese e degli egoismi, ogni proprietà ed ogni finalità individuale.

Oggi la scienza e le arti ci hanno consentito di mettere in primo piano il ruolo del contingente e del quotidiano nella realtà umana. Abbiamo capito che le vicende delle singole persone sono importanti per entrare nel senso della vita. Sappiamo che ogni persona è in grado di giudicare da sola la propria condizione e che ogni decisione è ricerca di equilibrio, di armonia, di salute.

Scrive Howard Gardner: “Grazie a Galileo Galilei la nostra comprensione delle verità che governano l’ambiente fisico si è trasformata. Grazie a James Watson e a Francis Crick abbiamo una comprensione migliore del mondo naturale. Grazie a Michelangelo Buonarroti abbiamo un’idea di bellezza più ricca; grazie alla ballerina Martha Graham abbiamo un’idea più ampia di quello che può essere considerato bello. Grazie a Mohandas (Mahatma) Gandhi e alle figure fondatrici di grandi tradizioni religiose e filosofiche , abbiamo un senso più pieno di che cosa siano una persona buona, un’azione buona, una vita buona”.

Ci rendiamo conto che anche nell’ambito della salute umana le nostre scelte non possono essere determinate semplicemente dalla genetica o dalle forze impersonali della domanda o dell’offerta. Possiamo andare oltre le difficoltà e gli ostacoli solo basandoci sulle conoscenze quotidiane, filtrando le informazioni, cogliendo gli aspetti epigenetici e culturali della vita, confrontandoci, discutendo, rispettando le convenzioni di culture differenti, meticciando i nostri modi di fare. Andando oltre gli interessi individuali e le abitudini è possibile offrire modelli influenti di vita sana e sostenibile che ispirino altri essere umani ad agire in modo sempre più consapevole e responsabile per affermare la propria dignità.

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