Un diritto alla settimana: verso la Marcia per la Pace. Articolo 25


 Articolo 25

1. Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; e ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in altro caso di perdita di mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà. 
2. La maternità e l’infanzia hanno diritto a speciali cure ed assistenza. Tutti i bambini, nati nel matrimonio o fuori di esso, devono godere della stessa protezione sociale.


Spunti di riflessione.

  • Articolo 25 – Abbiamo cura di te. Commento del prof. Antonio Papisca, Cattedra UNESCO Diritti umani, democrazia e pace presso il Centro interdipartimentale sui diritti della persona e dei popoli dell’Università di Padova

E’ un Articolo che riassume e ricapitola tutti gli altri nel segno della dignità integrale della persona. Il contenuto di questa norma internazionale è come la carezza amorevole che il Diritto internazionale dei diritti umani fa alla persona, egualmente a ciascun membro della famiglia umana, ma con particolare attenzione a chi meno ha ed ha più bisogno.
A causa dell’inflazione mass-mediatica siamo costretti a subire molti sdolcinati, e poco credibili, usi dell’espressione “I care”.

Nel caso dell’Articolo 25 è la norma internazionale che si prende cura delle necessità vitali delle persone. Come tale, essa non soltanto è credibile, ma ci obbliga a farla “azione” nel quadro di una prospettiva vitale che è molto più della mera sopravvivenza di persone e popoli, molto più del superamento millimetrico della soglia di povertà. L’Articolo parla infatti di un tenore di vita che produca e alimenti il benessere integrale della persona e della sua famiglia, cioè dell’essere umano fatto di anima e di corpo, di spirito e di materia.

In questo contesto il concetto di salute è quello definito dalla Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: “una condizione di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non meramente l’assenza di malattia”. Precisa questa stessa Costituzione che “il godimento del più alto conseguibile livello di salute costituisce uno dei diritti fondamentali di ogni essere umano senza distinzione di razza, di religione, di fede politica, di condizione economica o sociale” e che “la salute di tutti i popoli è fondamentale ai fini del conseguimento della pace e della sicurezza ed è dipendente dalla più piena collaborazione degli individui e degli stati”.

In questo contesto di promozione della dignità umana su scala mondiale e in chiave di responsabilità condivise, è appena il caso di  sottolineare che il ‘benessere’ dei diritti umani non è fatto di lussi, di stravaganze, di consumismi. La lezione che ne discende è di sobrietà nel consumare e nel comportarsi, da mettere in atto all’interno della micro-comunità familiare e nelle più ampie comunità sociali d’appartenenza.
L’Articolo 25, nella sua puntuale didascalità, è il codice genetico dello stato sociale e dell’intera Agenda politica dei diritti umani. La traduzione operativa di questa consiste nelle politiche sociali e nelle azioni positive nei settori della sanità, della casa, dell’occupazione, dell’assistenza, della speciale protezione dei bambini e della maternità. Da sottolineare che il secondo comma dell’Articolo dice che i bambini sono tutti eguali, dentro o fuori del matrimonio.

Una breve riflessione sul diritto all’alimentazione. In tante parti del mondo si continua ancora a morire di fame, a causa di carestie, violenze, guerre, ma anche a causa di espropriata autosufficienza alimentare. Periodicamente si lanciano campagne mondiali contro la fame nel mondo. Ricordo che la prima fu lanciata dalla FAO nel 1960, l’ultima nel 2000 con gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio.
Per sfamare occorrono certamente viveri e danaro, ma in non pochi casi bisogna consentire ai paesi derubati dall’autosufficienza di recuperarla, nel quadro di una più corretta divisione dei termini di scambio tra paesi ad economia povera da un lato, e paesi ad economia sviluppata, dall’altro.

Dentro il tema alimentazione c’è quello dell’acqua e dell’accesso all’acqua potabile.
L’ONU ha adottato varie iniziative sul tema dello sradicamento della povertà estrema. In particolare il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha stilato nel 2007 un documento intitolato “ Principi guida su diritti umani e povertà estrema: i diritti del Povero” inteso a dar voce ai poveri. In questo documento c’è un paragrafo dedicato a “il diritto all’acqua” come diritto fondamentale. Da molti anni, organizzazioni non governative e movimenti solidaristici transnazionali si stanno battendo per questa causa sostenendo, a ragione, che l’acqua è bene comune globale (global common good) e che, pertanto, bisogna sottrarla alle privatizzazioni: per l’acqua non ci sono vie di mezzo tra pubblico e privato. L’acqua è un bene di tutti e come tale deve essere gestito e protetto dalle pubbliche istituzioni, interne e internazionali.

Neppure la sanità può essere oggetto di esclusiva privatizzazione. Il diritto fondamentale alla salute si traduce in: cure mediche e salute per tutti. La sanità è un servizio pubblico elementare, come tale oggetto, in via primaria, di politiche pubbliche. Fa parte dell’imperfezione umana commuoversi (eventualmente) di fronte a chi muore di fame e restare indifferenti di fronte a chi, per mancanza di danaro, è costretto a soffrire e morire prematuramente per mancata assistenza sanitaria.
Pochi mettono in relazione l’Articolo 25 con l’Articolo 1 della Dichiarazione universale. Ma bisogna farlo. Coloro che “nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”, coloro cioè che sono la legge fondamentale, hanno diritto a vivere, non a sopravvivere fortunosamente o a morire di stenti. Morendo prematuramente o stentando a sopravvivere è lo stesso “diritto umano sussistente” (Antonio Rosmini) che entra in crisi, è lo stesso ordinamento giuridico che perde di sostanza precettiva.

Quanto costa aiutare tutti i membri della famiglia umana a vivere degnamente?
Prima di quantificare la risposta nei vari contesti geografici, andiamo a guardare quanto costano gli armamenti, le guerre ’preventive’ palesi e camuffate, quanto danaro è bruciato dalla speculazione finanziaria, quanti danni hanno provocato la deregulation, il neoliberismo, le politiche di “aggiustamento strutturale” del Fondo Monetario Internazionale, l’inquinamento dell’ambiente naturale, la non volontà degli stati più forti di governare l’economia mondiale per i fini di giustizia che sono elencati nell’Articolo 25.

La spesa militare mondiale è stata di 1.339 miliardi di dollari nel 2007, con un aumento del 6% rispetto al 2006 e del 45% rispetto al 1998. La cifra corrisponde al 2,5% del PIL mondiale per un importo di 202 dollari per ciascun abitante della terra (Annuario SIPRI 2008).
Dopo questa denuncia, la risposta è: “diritti umani-Agenda politica” nell’ottica del trinomio indissociabile stato di diritto-stato sociale-pace positiva.

  • Il 10 per cento delle spese militari ridurrebbe la povertà di Belinda Goldsmith, Thomson Reuters Foundation, Regno Unito 6 aprile 2016 da Internazionale

Nel 2015 le spese militari mondiali sono aumentate dell’1 per cento: è il primo aumento annuale degli ultimi quattro anni. Lo rivela il rapporto dello Stockholm international peace research institute (Sipri), secondo cui il 10 per cento di questa spesa potrebbe coprire i costi degli obiettivi globali finalizzati a mettere fine alla povertà e alla fame entro il 2030.

Il Sipri ha calcolato che lo scorso anno le spese militari mondiali sono state pari a 1.676 miliardi di dollari. Sono gli Stati Uniti a fare di gran lunga la parte del leone, anche se i tagli del 2,4 per cento hanno portato il totale delle spese militari statunitensi a 596 miliardi di dollari.

La Cina è il secondo paese nella classifica, per il secondo anno consecutivo, con un aumento del 7,4 per cento che la porta a un totale di 215 miliardi di spesa militare, mentre l’Arabia Saudita ha superato la Russia, posizionandosi terza, con il Regno Unito in quinta posizione.

Secondo il Sipri le spese militari rappresentano il 2,3 per cento del prodotto interno lordo mondiale, e il 10 per cento di tale somma sarebbe sufficiente a finanziare gliobiettivi di sviluppo sostenibile concordati a settembre dai 193 stati membri delle Nazioni Unite per porre fine alla fame e alla povertà entro il 2030.

“Questa stima può dare un’idea alla gente del costo opportunità che deriva dalle spese militari globali”, ha dichiarato alla Thomson Reuters Foundation Sam Perlo-Freeman, capo del progetto sulle spese militari del Sipri.

Secondo le stime dell’Onu circa ottocento milioni di persone vivono in estrema povertà e soffrono la fame, e i tassi di povertà più alti si registrano nei paesi fragili e colpiti dalla guerra.

Il rapporto annuale del Sipri sulle spese militari mostra che le spese globali sono aumentate lo scorso anno in Asia, Europa centrale e orientale e nei paesi del Medio-oriente per il quale sono disponibili dati.

Le spese sono invece calate in Nord America, Europa occidentale, America Latina, Caraibi e Africa, una tendenza già avviata e dovuta in parte alla crisi economica globale, al calo dei prezzi del petrolio e al ritiro delle truppe straniere da Afghanistan e Iraq.

“Da un lato, le spese riflettono i conflitti e le tensioni crescenti in molte parti del mondo. Dall’altra mostrano un’evidente discontinuità rispetto alla crescita delle spese militari dell’ultimo decennio, alimentate dal petrolio”, ha spiegato Perlo-Freeman.

Tra i paesi che hanno aumentato le spese militari nel 2015 ci sono Algeria, Azerbaigian, Russia, Arabia Saudita e Vietman, molti dei quali sono coinvolti in conflitti militari o devono affrontare tensioni regionali crescenti.

Perlo-Freeman ha spiegato che è la prima volta che il Sipri confronta le spese militari con i nuovi obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu, ma che in passato le aveva comparate con le spese destinate alla salute e all’istruzione.

Il progetto del Sipri sulle spese militari è stato avviato nel 1967. “Non è un segreto che siamo un’istituto di ricerca sulla pace. La nostra missione è la promozione della pace e della smilitarizzazione, anche se non possiamo sapere quando questo accadrà”, ha aggiunto Perlo-Freeman.

  • La povertà in Italia diminuisce più lentamente che in Europa di Jacopo Ottaviani pubblicato su Internazionale (27 aprile 2016)

In quasi tutti i paesi dell’Unione europea cala la percentuale di persone che vivono in condizioni di grave povertà materiale: nell’ultimo anno sono passate dal 9 all’8,2 per cento. Secondo Eurostat il dato riguarda anche l’Italia, dove però la diminuzione va più lentamente rispetto alla media europea: il calo è pari allo 0,1 per cento, dall’11,6 del 2014 all’11,5 per cento del 2015. Il che significa che al giorno d’oggi quasi sette milioni di italiani vivono in condizioni di grave deprivazione materiale, facendo dell’Italia il paese europeo con più poveri in termini assoluti (e collocandola al diciassettesimo posto, tra Croazia e Slovacchia, in termini percentuali).

Secondo Eurostat nei 28 paesi dell’Unione europea nel 2015 vivono 41 milioni di poveri, circa otto cittadini su cento. Le persone più soggette alla povertà sono i genitori single con figli a carico: nell’Unione europea è povera circa una famiglia monoparentale su sei (il 17,3 per cento dei genitori single rispetto all’11 per cento dei single senza figlio a carico). La situazione in Europa è eterogenea e in alcuni paesi il dato è molto drammatico: in Grecia, per esempio, circa il 22 per cento dei cittadini vive in stato di povertà e secondo un recente rapporto dell’Unicef, la percentuale sale tra i genitori single al 36,6 per cento e tra i bambini al 25,3 per cento. Dopo la Grecia figurano solo Romania e Bulgaria, rispettivamente con il 24,6 e il 34,2 per cento della popolazione.

In Italia la povertà cala meno velocemente che nel resto d’Europa per una questione prima di tutto strategica. “Specialmente nelle grandi città si continuano a sostenere azioni d’emergenza legate a obiettivi immediati invece che piani di intervento lungimiranti”, spiega Girolamo Grammatico, tra gli organizzatori della Notte dei senza dimora a Roma e coordinatore della comunità Emmaus di Zagarolo. “Affidandosi quasi esclusivamente al privato sociale le amministrazioni non riescono a sviluppare un apparato e una cultura propria di contrasto alla miseria”.

In Italia esiste un’alleanza di 35 organizzazioni che operano con lo scopo di introdurre il reddito di inclusione sociale: uno strumento che integra il sostegno al reddito a un’adeguata politica dei servizi con il fine di reintegrare nella società chi vive in povertà. “Al reddito di inclusione sociale vanno aggiunte altre misure,” spiega Ferruccio Ferrante, responsabile della comunicazione di Caritas Italia, “serve una vera politica di integrazione dei cittadini immigrati, prevenendo così anche la radicalizzazione di gruppi, e un’azione nazionale contro la dispersione scolastica che toglie futuro ai giovani e competitività al paese”.

Su quante persone può fare affidamento una persona povera, anche per motivi non economici?

Eurostat inserisce nella categoria di grave povertà materiale le persone (o i nuclei familiari) che non riescono ad affrontare una serie di spese primarie. In sostanza, ricade nel calcolo statistico chi non può permettersi almeno quattro dei beni elencati nella lista indicativa di Eurostat. Nella lista appaiono l’affitto, il riscaldamento, un’alimentazione adeguata, una vacanza di una settimana nell’arco di un anno e alcuni beni materiali come una lavatrice, un televisore e un telefono.

“È una definizione solida, che blinda l’argomento povertà in un contesto che fa del bene materiale il centro di tutto”, spiega Grammatico, “ma sarebbe utile immaginare una definizione che includa le relazioni. Su quante persone può fare affidamento una persona povera, anche per motivi non economici?”, chiede Grammatico, sottolineando il carattere multidimensionale della povertà. I dati di Eurostat sono uno degli strumenti necessari per comprendere il problema della povertà in Europa, ma non certo l’unico.

  • La povertà è la peggiore delle malattie. Proposte concrete per dichiarare illegale la povertà! Campagna Miseria Ladra www.libera.it

 “La costruzione dell’uguaglianza e della giustizia sociale è compito della politica nel senso più vasto del termine: quella formale di chi amministra equella informale chi ci chiama in causa tutti come cittadini responsabili. La povertà dovrebbe essere illegale nel nostro paese. La crisi per molti è una condanna, per altri è un’occasione. Le mafie hanno trovato inedite sponde nella società dell’io, nel suo diffuso analfabetismo etico. Oggi sempre più evidenti i favoriindiretti alle mafie che sono forti in una società diseguale e culturalmente depressa e con una politica debole.” sostiene don Luigi Ciotti, presidente del Gruppo Abele e di Libera.

La Costituzione ci impegna in tal senso a fare ognuno la sua parte. La lotta alla povertà va ripensata in termini di interdipendenza tra le persone,le specie e all’interno degli equilibri naturali dei nostri ecosistemi. Possiamo da subito portare avanti azioni di contrasto dal basso alla povertà.

Il Gruppo Abele e Libera promuovono la campagna “Miseria Ladra” con tutte quelle realtà sociali, sindacali,studentesche, comitati, associazioni, movimenti, giornali e singoli cittadini/e, intenzionati a portare avanti le proposte contenute nel documento. Proposte concrete che da subito possono rispondere alla crisi materiale e culturale, rafforzare la partecipazione e rivitalizzare la nostra democrazia.

  • La sete del mondo, un film per assetati di verità di Alessandra Cavone in Cinema, Educazione da Habitat-l’ambiente è di casa (2 giugno 2016)

 “La Soif du Monde”- La sete del mondo in programma per la 19° edizione del Festival Internazionale di CinemAmbiente, è un viaggio sull’acqua, la sua mancanza, i suoi utilizzi, sulle pratiche sbagliate e quelle corrette. Yann Arthus-Bertrand, con la sua fotografia eccezionale e mozzafiato, porta lo spettatore in luoghi inesplorati della Terra e dello spirito umano scatenando emozioni che nascono dallo stomaco e dal cuore.

L’acqua è la cosa più preziosa che abbiamo, è quella risorsa che ci permette di vivere sul pianeta Terra la cui superficie è ricoperta d’acqua per il 71%. Noi stessi siamo fatti d’acqua per oltre il 60%. L’acqua è vita. Ce lo insegnano da bambini e poi ce ne dimentichiamo. Yann Arthus Bertrand ce lo ricorda con le immagini, con le sue interviste in giro per il mondo e con le sue parole: “L’acqua che abbiamo sul pianeta ora e che beviamo oggi è la stessa che ha spazzato via i dinosauri 4 miliardi di anni fa”. E noi la sprechiamo. L’impronta idrica di una famiglia di 4 persone è di 140.000 litri a settimana. Usiamo l’acqua per produrre ogni genere di bene che consumiamo: ne servono 3 lt per produrre 1 bottiglia di acqua minerale, 1.000 lt per produrne 1 di latte, 3920 lt per produrre 1 kg di carne di pollo, 6.630 litri per produrre un paio di jeans, 15.155 litri per produrre 1 kg di carne di manzo (120 litri per l’abbeveramento, 35 litri per il lavaggio e 15.000 lt per produrre il cibo che l’animale consuma). Oppure la inquiniamo, l’85% dell’acqua utilizzata viene reimmessa nei fiumi o in mare senza alcun tipo di pretrattamento, e così facendo ci avveleniamo con le nostre stesse mani.

Ci sono persone nel mondo che non sanno che sapore ha l’acqua potabile, che non hanno mai usato una toilette e che si ammalano per questo motivo con scarse probabilità di sopravvivenza. Caterine du Albuquerque delle Nazioni Unite ci racconta che nel 2010 l’ONU ha riconosciuto il diritto all’acqua come un diritto umano, perchél’accesso all’acqua potabile è sinonimo di dignità e costituisce, per una buona fetta della popolazione mondiale, la possibilità di uscire dalla povertà e di dedicarsi agli studi e al lavoro.

“La Soif du Monde”, questo incredibile documentario, tocca oltre 20 paesi nel mondo, guarda anche ai casi in cui con l’informazione e la volontà politica le cose sono cambiate e migliorate molto. Dal 1990 al 2012 la percentuale di popolazione mondiale con accesso all’acqua potabile è aumentata dal 77% all’87% ma non dobbiamo dimenticarci che, ancora oggi, muoiono 4.000 bambini al giorno per l’insalubrità dell’acqua e noi tutti, cittadini, politici, consumatori, ne siamo in parte responsabili.

Al termine della proiezione, venerdì 3 giugno, ore 17.300, sala 3 del cinema Massimo di Torino, a dibattito con Roberto Corgnati, che ci parlerà di “Una Buona Occasione”, un importante progetto della Regione Piemonte per la prevenzione contro gli sprechi alimentari e idrici, e con Lucilla Minelli del World Water Assessment Programme dell’UNESCO.

“Il nostro obiettivo è quello di ridurre gli sprechi a partire dai consumi domestici – commenta il dirigente Corgnati r– La app UBO fornisce consigli e strumenti per fare la spesa, per la corretta conservazione dei cibi e per la limitazione degli atteggiamenti degenerativi. Siamo partiti dallo spreco di cibo in senso stretto ma poi abbiamo esteso lo studio sull’impronta idrica degli alimenti. Così il consumatore si rende immediatamente conto dell’enormità di acqua che serve per la produzione del cibo e, al tempo stesso, ha una dimensione più ampia dello spreco quando lo butta via. Il tema della scarsità idrica riguarda da un lato la diminuzione della disponibilità di acqua, a causa dell’inquinamento e per effetto dei cambiamenti climatici, dall’altro l’aumento della richiesta determinata dall’aumento della popolazione e dall’aumento di consumi alimentari idrovori, in particolare il consumo di proteine. Il “diet change”, assieme allo stop degli sprechi alimentari, è il grande tema che va trattato dal punto di vista della sostenibilità ambientale. L’Italia è il 2° paese al mondo importatore di acqua (virtuale) legata all’importazione del cibo e sta attuando una forma dicolonialismo idrico verso paesi con grande scarsità come la Turchia e la Tunisia.”

Lucilla Minelli dichiara: “L’acqua è una risorsa “finita” nel senso che nel nostro pianeta ne esiste una determinata quantità immutabile. Quello che cambia è la sua qualità e distribuzione. Per poter gestire questa risorsa fragile e vitale è indispensabile conoscere e monitorare il suo stato e l’utilizzo che ne viene fatto. Il Programma dell’UNESCO per la Valutazione delle Risorse Idriche Mondiali fornisce ai decisori politici gli strumenti adeguati per formulare delle politiche idriche volte alla sostenibilità. La chiave per raggiungere uno sviluppo veramente equo e sostenibile passa attraverso una maggiore coscienza ambientale per ridurre la nostra impronta idrica e promuovere stili di consumo che non superino i limiti delle risorse planetarie. Il film “La Soif du Monde” spiega in maniera eccellente queste dinamiche contribuendo a sensibilizzare il grande pubblico in merito alla gestione responsabile delle risorse idriche. Dopo il film proietteremo il cortometraggio “Where is Water?” prodotto da WWAP UNESCO e relializzato da Steve Cutts, che spiega la distribuzione geografica ed economica della risorsa acqua. Il video è parte del progetto The Water Rooms.”

Avvertenza: durante la visione di questo film vi verrà sete. E’ consigliato portare con sé una bottiglietta d’acqua o meglio ancora una borraccia riutilizzabile

  • Uguaglianza, stella polare per il futuro di Fabio Marcelli pubblicato su Il Fatto Quotidiano
    (25 gennaio 2016)

Quello di uguaglianza è un fondamentale principio scolpito nell’art. 3 della Costituzione e nei Patti internazionali sui diritti umani. Tuttavia gli ordinamenti di fatto non lo rispettano. Basti citare alcuni esempi tratti dalla storia e cronaca più recente.

Secondo il Rapporto dell’organizzazione non governativa Oxfampubblicato qualche giorno fa, 62 persone possiedono ricchezze pari a quelle detenute dal 50% della popolazione mondiale (circa 3,6 miliardi di persone). Viene così ulteriormente confermata una tendenza già rilevata in passato, circa un anno fa. Che giustificazioni ci sono per una situazione di questo tipo? Evidentemente nessuna. Si tratta di una mostruosità che va contro ogni principio elementare di giustizia, ma anche di efficienza economica. Tale situazione costituisce peraltro il risultato degli ultimi trent’anni circa di capitalismo selvaggio, contraddistinto dall’espansione incontrollata della finanza che oltre a minare le basi stesse della convivenza civile distrugge l’economia produttiva.

Oxfam afferma che è venuto il momento di porre fine a quella che definisce giustamente l’“estrema diseguaglianza” e propone a riguardo l’obiettivo, valido per tutti i governi, di rendere  il reddito del dieci per cento più ricco non superiore a quello del quaranta per cento più povero. A tal fine vanno messi in opera meccanismi redistributivi consistenti nel prelievo fiscale dei ricchi e interventi di sostegno al reddito dei poveri. Inoltre Oxfam propone di valutare le politiche pubbliche, da quelle fiscali alle privatizzazioni, secondo l’impatto che generano sull’eguaglianza, la promozione dell’eguaglianza di genere e dei diritti delle donne, stabilire stipendi che consentano alle persone di vivere e chiudere il gap fra retribuzioni, un’equa divisione del carico fiscale, la lotta ai paradisi fiscali e all’evasione fiscale internazionale, servizi pubblici gratuiti per tutti entro il 2020, stabilire prezzi accessibili per le medicine, realizzare una protezione sociale di base universale e orientare correttamente il finanziamento dello sviluppo.

Come ci ricorda Vincenzo Comito “la crisi del 2008, mentre ha portato alla ribalta un fenomeno quale quello delle diseguaglianze che prima veniva sostanzialmente nascosto, ha anche mostrato come esso impedisse alla lunga lo sviluppo economico e fosse all’origine della stessa crisi, come diversi economisti hanno cominciato ad ammettere; essa ha anche mostrato, d’altra parte, che la corsa alle diseguaglianze non conoscesse più confini”. Comito sostiene le misure proposte in un libro dell’economista britannicoAtkinson e precisamente “riabilitare il ruolo dello stato, dei sindacati, delle associazioni della società civile. Tali organismi dovrebbero portare avanti e sostenere le proposte concrete che l’autore indica (in numero di quindici) per combattere il problema. Tra l’altro, si tratta di orientare le scelte tecnologiche in direzione dell’aumento dell’occupazione, di rinforzare il ruolo dei sindacati, di assegnare agli Stati obiettivi precisi in materia di disoccupazione, con l’offerta anche di un certo numero di impieghi pubblici, di creare un’autorità di investimenti pubblica, di rendere nettamente più progressiva l’imposta sui redditi, di fornire un reddito di base a tutti i bambini europei; e si potrebbe continuare. Atkinson mostra come tutte tali misure sono finanziabili con il bilancio pubblico”.

L’altro esempio riguarda la legge sulle unioni civili attualmente in discussione in Parlamento. Le pressioni clericali tuttora efficaci nei confronti della destra e del Pd rischiano al riguardo di produrre una legge che non garantisce totalmente l’eguaglianza fra le diverse unioni secondo l’orientamento sessuale dei partners, continuando a relegare in una situazione difficile un numero crescente di coppie omosessuali.

Due esempi solo apparentemente eterogenei. E’ infatti dimostrato che per poter esercitare pienamente i propri diritti non basta l’uguaglianza formale, ma occorre anche quella sostanziale. Nei prossimi giorni verificheremo fino a che punto il Parlamento italiano è capace di garantire almeno la prima ai cittadini del nostro Paese, quanto alla seconda, dovremo ancora aspettare a lungo, ma essa resta un’esigenza imprescindibile. L’attuale sistema di diseguaglianza crescente costituisce infatti la negazione del futuro, in Italia e nel resto del mondo.

  • Istat: “2,2 milioni di famiglie senza lavoro. Spesa sociale inefficiente, peggio di noi solo la Grecia” pubblicato su Il Fatto Quotidiano (20 maggio 2016)

Nel suo rapporto annuale 2016, l’istituto di statistica spiega che un minore su cinque è in condizione di povertà, mentre cresce la disuguaglianza nella distribuzione del reddito. Sei giovani su 10 vivono a casa dai genitori, uno su quattro non studia e non lavora. E si prevede che nel 2025 il tasso di occupazione resti ai livelli del 2010

Famiglie senza lavoro in aumento, una spesa socialeinefficiente, una crescente disuguaglianza nella distribuzione del reddito. Questo è il quadro fornito dall’ultimo rapporto annuale dell’Istat, relativo al 2015. La fotografia scattata dall’istituto mostra che 6 giovani su 10 vivono ancora con i genitori, mentre uno su quattro non studia e non lavora. Il tutto in un contesto economico debole, con i prezzi che ristagnano o calano e un mercato del lavoro incerto: nel 2025, l’istituto prevede che l’occupazione rimanga ferma a un livello simile al 2010.

Oltre 2 milioni di famiglie senza lavoro. Un minore su 5 in condizione di povertà – In Italia 2,2 milioni di famiglie vivonosenza redditi da lavoro. Le famiglie “jobless” sono passate dal 9,4% del 2004 al 14,2% dell’anno scorso e nel Mezzogiorno raggiungono il 24,5%, quasi un nucleo su quattro. La quota scende all’8,2% al Nord e al 11,5% al Centro. L’incremento ha riguardato le famiglie giovani rispetto alle adulte: tra le prime l’incidenza è raddoppiata dal 6,7% al 13%, tra le seconde è passata dal 12,7% al 15,1%.

I minori sono i soggetti che hanno pagato il prezzo più elevato della crisi in termini di povertà e deprivazione, scontando un peggioramento della loro condizione relativa anche rispetto alle generazioni più anziane. L’incidenza di povertà relativa per i minori, che tra il 1997 e il 2011 aveva oscillato su valori attorno all’11-12%, ha raggiunto il 19% nel 2014. Al contrario, tra gli anziani – che nel 1997 presentavano un’incidenza di povertà di oltre 5 punti percentuali superiore a quella dei minori – si è osservato un progressivo miglioramento che è proseguito fino al 2014 quando l’incidenza tra gli anziani è di 10 punti percentuali inferiore a quella dei più giovani.

La spesa sociale è inefficiente, peggio di noi solo la Grecia. E aumenta la disuguaglianza – Il sistema di protezione sociale italiano è tra quelli europei “uno dei meno efficaci“. Lo rileva il Rapporto annuale Istat 2016, evidenziando come “la spesa pensionistica comprime il resto dei trasferimenti sociali”, aumentando il rischio povertà. Nel 2014 il tasso delle persone a rischio si riduceva dopo il trasferimenti di 5,3 punti (dal 24,7% al 19,4%) a fronte di una riduzione media nell’Ue di 8,9 punti. Solo inGrecia il sistema di aiuti è meno efficiente che in Italia.

In Italia, sottolinea l’Istat, la disuguaglianza nella distribuzione del reddito (misurata attraverso l’indice di Gini sui redditi individuali lordi da lavoro) è aumentata da 0,40 a 0,51 tra il 1990 e il 2010; si tratta dell’incremento più alto tra i paesi per i quali sono disponibili i dati.

Sei giovani su 10 a casa dai genitori. Il 25% non studia e non lavora – La generazione dei bamboccioni non molla: nel 2014 più di 6 giovani su 10 (62,5%) tra i 18 e i 34 anni hanno vissuto ancora a casa con i genitori. Il dato ha riguardato nel 68% dei casi i ragazzi e nel 57% le ragazze. Nel contesto europeo l’Italia si schiera quindi in pieno con le medie dei paesi mediterranei (“dove i legami sono ‘fortì”), a fronte di una media Ue del 48,1%.

Sono più di 2,3 milioni nel 2015 i giovani di 15-29 anni non occupati e non in formazione (Neet), di cui tre su quattro vorrebbero lavorare. I Neet sono aumentati di oltre mezzo milione sul 2008 ma diminuiscono di 64mila unità nell’ultimo anno (-2,7%). L’incidenza dei Neet sui giovani di 15-29 anni è al 25,7%(+6,4 punti percentuali su 2008 e -0,6 punti su 2014).

Dopo la laurea i giovani non cercano lavoro, ma continuano a studiare – Rispetto a una ventina di anni fa sono quasi raddoppiati i giovani che a tre anni dalla laurea non cercano lavoro, la maggior parte perché ha deciso di continuare a studiare. A tre anni dal conseguimento del titolo, nel 1991 i laureati occupati erano il 77,1%. Questo valore è sceso al 72% nel 2015, anno nel quale non cercano lavoro circa il 12,5% dei giovani laureati, quasi il doppio di quelli del 1991 (6,6%). Quest’ultimo dato va letto – spiegano i ricercatori – assieme al fenomeno della prosecuzione delle attività di formazione: nel 2015, infatti, il 78,7% di coloro che dichiarano di non cercare lavoro risultano impegnati in dottorati, master, stage o ulteriori corsi di laurea, quando nel 1991 la stessa quota era pari a 59,7%.

Mercato del lavoro incerto: nel 2025 la stessa occupazione del 2010 – Nel 2016 l’andamento dei prezzi “appare ancora molto debole” e quello del mercato del lavoro “è incerto“. Lo afferma l’Istat nell’ultimo rapporto annuale, ritenendo “plausibile”, per il primo semestre, il succedersi di periodi di debole crescita tendenziale dei prezzi e di episodi deflazionistici. La ripresa dei consumi risulta infatti insufficiente a bilanciare il calo dei prezzi energetici. Allo stesso tempo, il mercato del lavoro nei primi tre mesi 2016 mostra una sostanziale stabilità degli occupati. L’Istat prevede inoltre, in un esercizio statistico, “unmiglioramento piuttosto modesto del grado di utilizzo dell’offerta di lavoro” nei prossimi anni. Nel 2025 il tasso di occupazione potrebbe così restare “prossimo a quello del 2010, a meno che non intervengano politiche di sostegno alla domanda di beni e servizi e un ampliamento della base produttiva”.

Aumentano gli occupati, ma dal 2008 scende l’incidenza del lavoro stabile. Nel 2015 gli occupati in Italia sono 22,5 milioni, 186mila in più sull’anno (+0,8%). L’anno scorso il contratto a tempo indeterminato è stato il più diffuso: vi hanno fatto ricorso quasi due terzi delle aziende manifatturiere e del terziario. Nonostante l’aumento dei contratti fissi, l’incidenza del lavoro standard sul totale degli occupati è scesa al 73,4% nel 2015 dal 77% del 2008 con 1,3 milioni di occupati in meno. A trainare le assunzioni, in particolare nelle imprese manifatturiere, sono stati in primis gli sgravi contributivi.

La popolazione italiana diminuisce e invecchia. Nel 2015 minimo storico per le nascite – Al 1 gennaio 2016 la stima della popolazione italiana è di 60,7 milioni di residenti (-139mila sull’anno precedente) mentre gli over 64 sono 161,1 ogni 100 giovani con meno di 15 anni. Il nostro Paese è tra i più invecchiati al mondo, insieme a Giappone e Germania. Nel desolante quadro demografico si inserisce il nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia per le nascite: nel 2015 sono state 488mila, 15mila in meno rispetto al 2014. Per il quinto anno consecutivo diminuisce la fecondità, solo 1,35 i figli per donna.

  • Dentro il diritto al cibo da www.worldsocialagenda.org

È un diritto umano fondamentale. Lo hanno sancito le Nazioni Unite attraverso la Dichiarazione universale dei diritti umani nel 1948.(art 25 )

Questo diritto è stato riaffermato dall’ONU nel 1966 con il Patto sui diritti economici sociali e culturali e nel 2000 attraverso la Dichiarazione del millennio, che lo ha voluto al primo posto tra gli obiettivi da raggiungere entro il 2015 . Mentre le agenzie internazionali ne fanno, però, una questione di sicurezza alimentare, cioè assicurare a tutte le persone e in ogni momento una quantità di cibo sufficiente, sicuro e nutriente  per i movimenti di contadini, pescatori, allevatori, ma anche per un numero crescente di consumatori responsabili è una questione di sovranità alimentare, cioè di possibilità per ogni popolo di decidere il proprio sistema alimentare e produttivo

Il diritto al cibo nasce dalla consapevolezza che i problemi della fame  non sono causati esclusivamente dalle calamità naturali, ma stanno dentro le scelte e le pratiche politiche generatrici di diseguaglianze economiche, sociali e culturali.

Il diritto al cibo si fonda quindi sui principi dello sviluppo sostenibile in grado di rimuovere le disuguaglianze esistenti nel controllo della terra, dell’acqua, dei pascoli, delle foreste e delle sementi  e di contrastare le violazioni dei diritti dei contadini e dei lavoratori.

Per far sì che questo diritto diventi una consuetudine è necessario che la sua presa in carico sia un “dovere di tutti e tutte”, cioè una responsabilità individuale e collettiva, quindi una scelta. Esso si realizza pienamente attraverso la piccola e media proprietà contadina delle terra, l’agricoltura biologica  le filiere alimentari eque e corte con il più ridotto numero di intermediari , la qualità e sicurezza degli alimenti, iprezzi giusti e trasparenti per il produttore e per il consumatore , le regole condivise e uguali in tutti i paesi, uno stile alimentare sobrio e rispettoso della popolazione animale , ma anche dei consumi energetici e attento agli sprechi. Il diritto ad un’alimentazione adeguata è di tutti e tutte, di chi produce, di chi trasforma, di chi vende e di chi consuma, in una parola della “rete del cibo”.

Come ci ricorda Olivier de Schutter, ex relatore speciale dell’ONU per il diritto al cibo, “le innovazioni sociali emergenti in tutto il mondo mostrano come i consumatori urbani possono essere collegati ai produttori alimentari locali, riducendo al tempo stesso la povertà rurale e l’insicurezza alimentare. Occorre però sostenere queste iniziative locali a livello nazionale e, al tempo stesso, anche le strategie nazionali necessitano di condizioni internazionali favorevoli per poter dare dei frutti”. Secondo De Schutter, da qui in avanti, “la priorità deve essere quella di promuovere i circuiti brevi e i legami diretti fra produttori e consumatori in modo da rafforzare le aziende agricole locali di piccole dimensioni e ridurre la dipendenza dalle importazioni. Il diritto ad una alimentazione adeguata necessita di un ripensamento radicale e democratico dei sistemi alimentari mondiali”.

NB: I pensieri qui riportati in modo sintetico fanno parte del più ampio discorso tenuto il 10 marzo 2014 da Olivier de Schutter in occasione del termine del suo mandato come relatore speciale dell’ONU per il diritto al cibo iniziato nel 2008. Per approfondire, vedi il rapporto integrale “Il potenziale trasformativo del diritto al cibo” (2014).

  • Fire in the blood, documentario da Internazionale. Di Dylan Mohan Gray (India, 2013)

La storia di come le multinazionali farmaceutiche e i governi occidentali hanno impedito l’accesso ai farmaci generici contro l’Aids nel sud del mondo, causando milioni di morti. E di come un eterogeneo gruppo di persone ha deciso di sfidarli. Dal Sudafrica all’India, un’inchiesta sul diritto alla salute ai tempi del libero mercato.
Sito web: fireintheblood.com

  • Cure gratuite, aumentano gli italiani. Da Fondazione enpam (15 febbraio 2016)

 

Non solo immigrati: da Bologna a Taranto, cresce il numero di chi si rivolge ad associazioni e strutture gestite da volontari.
In questo quadro sono sempre più gli italiani che si rivolgono a strutture di volontariato. La Sokos, è nata a Bologna nel 1993 con lo scopo di garantire assistenza gratuita agli immigrati senza permesso di soggiorno, alle persone senza fissa dimora e a chiunque viva in una condizione di esclusione sociale. Tra le sue fila si contano 40 medici, dieci operatori addetti all’accoglienza, un farmacista e sei collaboratori. “Quando abbiamo fondato l’associazione – dice il direttore sanitario Natalia Ciccarello, medico di medicina generale – da noi di italiani non se ne parlava. Oggi non è più così”. Sokos offre visite di medicina di base e specialistiche, tra cui ginecologia, dermatologia, fisiatria, psicologia, neurologia, psichiatria, nefrologia, ortopedia, chirurgia vascolare. “La maggior parte delle persone che si rivolgono a noi sono tuttora immigrati – dice Ciccarello – ma sempre più sono gli italiani che, per condizioni sociali o scelte personali, si trovano in una situazione di marginalità. Negli ultimi tre-quattro anni c’è stato un aumento notevole, soprattutto di uomini tra i 50 e 60 anni. Nella classifica che abbiamo stilato in base alla provenienza, gli italiani oggi sono al settimo posto”.

Ma chi sono questi nuovi ‘poveri’? “Sono senza dimora – dice il ds – persone che hanno perso tutto, che hanno una pensione minima e che ‘non ce la fanno’. Poi ci sono quelli che devono comprare il farmaco da banco non hanno le possibilità e vengono da noi. E chi deve fare delle specifiche terapie, come quella del dolore. Chi non può pagarsele viene da noi: una volta a settimana è presente in ambulatorio una dottoressa che se ne occupa”.

Da Bologna a Taranto la musica non cambia. Nella città pugliese lavora l’Associazione benefica Fulvio Occhinegro (Abfo) che a gennaio ha inaugurato il progetto ‘Il mio dottore’ rivolto a persone e famiglie indigenti. Saranno avviati diversi ambulatori medici specialistici tra cui servizi di odontoiatria, oculistica, pediatria, dermatologia, otorino, medicina generale e preventiva, seguiti da oltre 30 medici tarantini volontari. Per i primi sei mesi il progetto sarà rivolto alle 250 famiglie indigenti già seguite dall’Abfo, successivamente verranno accolte le segnalazioni di servizi sociali, parrocchie e associazioni. “Il poliambulatorio – dice il presidente dell’Abfo Andrea Occhinegro, oculista – è stato realizzato senza fondi pubblici, ma soltanto grazie ad associazioni e cittadini”. “L’associazione – dice – nasce nel 2005 e da allora abbiamo visto aumentare il numero di famiglie che rinunciano alle cure mediche per motivi economici. Proprio per questo abbiamo avviato ‘Il mio dottore’. Medici, infermieri e paramedici sono volontari, lavoriamo in collaborazione con i servizi sociali del Comune di Taranto e l’Ordine dei medici della città ha sposato il progetto”.

Milano: sempre più persone ‘normali’ in coda per farsi visitare.
“Dall’inizio del 2000 l’utenza si è modificata. Da un lato si è ridotta la presenza degli immigrati irregolari e dall’altro è aumentata la presenza degli italiani, che in parte erano già presenti tra coloro che vivono ai margini del contesto sociale, ma che oggi sono rappresentati anche da persone ‘normali’ che si trovano in difficoltà”. A dirlo è Faustino Boioli, medico radiologo in pensione e presidente dell’associazione Medici volontari italiani che in 15 anni di attività hanno curato oltre 3.000 pazienti (vedi Giornale della previdenza n. 5 del 2014 in foto). “Prendiamo ad esempio un marito separato con appartamento assegnato alla moglie e ai figli. Se si tratta di un benestante – dice Boioli – la persona potrà trovarsi un altro appartamento e continuare a condurre una vita normale; ma se è una persona che già stentava allora, i problemi aumentano”. Le cure gratuite attirano pazienti anche da fuori città. “Alcune di queste persone – conclude – scelgono di raggiungere le grandi città per diversi motivi: ci sono le mense, si trova più facilmente un ricovero e guadagnano un anonimato che li nasconde di fronte alla difficoltà.

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