Un diritto alla settimana: verso la Marcia per la Pace. Articolo 24


 

Articolo 24

Ogni individuo ha diritto al riposo ed allo svago, comprendendo in ciò una ragionevole limitazione delle ore di lavoro e ferie periodiche retribuite.


 

Spunti di riflessione.

  • Articolo 24 – Un bell’articolo. Commento del prof. Antonio Papisca, Cattedra UNESCO Diritti umani, democrazia e pace presso il Centro interdipartimentale sui diritti della persona e dei popoli dell’Università di Padova

L’Articolo 7 (lettera d) del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali è più esplicito nel dire che gli stati sono obbligati a garantire una remunerazione del lavoro “che assicuri a tutti i lavoratori, come minimo … il riposo, gli svaghi, una ragionevole limitazione delle ore di lavoro, e le ferie periodiche retribuite, nonché la remunerazione per i giorni festivi”.

A sua volta, l’Articolo 37 della Costituzione Italiana stabilisce che “il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunciarvi”.
Siamo in presenza di disposizioni di perentoria precettività, i cui termini applicativi sono fissati, e costantemente aggiornati, dal legislatore nazionale all’interno del dialogo sociale tra governo, sindacati dei lavoratori, associazioni padronali.

La persona umana non è una macchina (anche questa però è soggetta ad usura …) e deve avere la possibilità reale di sviluppare tutte le sue potenzialità in adeguati periodi di riposo e di fertile ricreazione. Anche il lavoro è, deve essere occasione di sviluppo della persona secondo dignità. E’ per questo che la legislazione internazionale in materia disciplina minuziosamente le condizioni di lavoro, che devono essere idonee a garantire la salute dei lavoratori. In concreto, è interpellata la responsabilità personale del datore di lavoro insieme con quella di sopraordinati organismi di sorveglianza.

La civiltà dei diritti umani insieme con la civiltà del lavoro ha portato a stabilire che c’è l’obbligo di rispettare il diritto alle ferie e allo svago anche del detenuto-lavoratore. Una sentenza della Corte Costituzionale del 2001 dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 20, sedicesimo comma, della legge del 26 luglio 1975 n.354 (norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non riconosce il diritto al riposo annuale retribuito al detenuto che presti la propria attività lavorativa alle dipendenze dell’amministrazione carceraria. La Corte motiva che il diritto al riposo annuale integra una di quelle ‘posizioni soggettive’ che non possono essere in alcun modo negate a chi presti attività lavorativa in stato di detenzione.

L’Articolo 24 della Dichiarazione parla anche di “svago” per il lavoratore, cioè di fruizione di momenti ludici e di ricreazione culturale e artistica. Il lavoratore deve avere la possibilità di prendere parte liberamente alla vita culturale, come dispone l’Articolo 27 della Dichiarazione. Questo ci porta a considerare le ferie come un periodo che, come dicevano i nostri avi, ritempra il corpo e lo spirito. Insomma, una salubre parentesi nella routine lavorativa tanto più necessaria quanto usurante è il tipo di lavoro. Il diritto allo svago ha un significato e una portata non circoscrivibili alla logica dell’una tantum. Ha a che fare con la coltivazione di umanesimo negli stessi luoghi di lavoro. Sono dunque interpellati architetti, artisti visivi, musicisti per arricchire di bello gli uffici, le fabbriche, i cantieri.
Questi pensieri sembrano appartenere al mondo dei sogni o delle fatuità nel tempo che viviamo, disturbati come siamo da tante insicurezze. La realtà del precariato e della disoccupazione insieme con l’ambigua proposta della flexicurity ha come risultato quello di bruciare o comunque di rendere superfluo l’umanesimo del e nel lavoro. L’assenza o l’intermittenza del lavoro, lo stesso lavoro in settori dell’economia informale, costituiscono di per sè “ferie”, ma ferie stressanti e drammatiche, per così dire a tempo indeterminato, segnate non dalla possibilità di ritemprarsi e svagarsi più del solito, ma dall’ansia, dalla frustrazione, dal risentimento nei confronti di sistemi di governo che sono sudditi del mercato e della speculazione finanziaria, che considerano le politiche per la “piena occupazione”, prescritte dalle norme internazionali, non un obbligo ma un optional. Si pensi ancora a chi, per mantenere sé e la propria famiglia, ha doppio o triplo lavoro, magari anche con lavoro notturno continuativo… . Si pensi al lavoro in regime di ‘caporalato’ o a quello degli immigrati ‘irregolari’.

Che senso ha per queste masse di umanità precaria l’Articolo 24 della Dichiarazione?
C’è disagio nel tentare di trovare la risposta ad un interrogativo che interpella la coscienza e la responsabilità di tutti. Ma non si può restare inerti nella tristezza e nell’arrendersi ai determinismi. La cultura, anzi il sapere dei diritti umani, ci dice: sforzati di tradurre i diritti umani in una organica e coerente Agenda politica.

  • Bread and Roses, un film di Ken Loach (Gran Bretagna, 2000)

Maya ha raggiunto Los Angeles in forma clandestina correndo anche dei gravi rischi e ha trovato un lavoro in un’impresa di pulizie grazie alla sorella Rosa. Un giorno aiuta uno sconosciuto a sfuggire dalle mani di Perez, il capo degli operai. Si tratta di Sam, un sindacalista che vorrebbe che i lavoratori scioperassero contro un’impresa che aumenta gli introiti e diminuisce gli stipendi. Ma non è facile spingere alla protesta chi ha assoluto bisogno di quel lavoro e, come Rosa, non vuole tornare a vivere in una condizione di cui Maya non ha mai saputo nulla..
Ken Loach attraversa per la prima volta i confini degli Stati Uniti per proporre una vicenda che trae origine da una protesta avvenuta a Los Angeles. La terra della libertà per eccellenza diviene così oggetto di una lettura non certo tenera nei confronti dei processi di coercizione a cui vengono sottoposti coloro i quali ancora credono al ‘sogno americano’ partendo da posizioni decisamente svantaggiate. Il titolo è di per sé già un manifesto: si tratta dello slogan che contrassegnò la lotta degli operai tessili nel 1912. Essi reclamavano per sé non solo il pane quotidiano ma anche il diritto a poter godere della bellezza senza che quest’ultimo venisse annullato da una vita in cui contasse solo il lavoro. Loach, anche in questa occasione, ci vuole ‘vicini’ ai suoi personaggi e per far questo utilizza tecniche che lascino al contempo spazio interpretativo agli attori e prossimità allo spettatore. Perché il suo stare a fianco degli umili di (per noi) manzoniana memoria respinge la retorica in favore di uno sguardo carico di umanità. Lui e Laverty (sceneggiatore d’elezione) non portano sullo schermo dei personaggi ma delle persone. Questo fa la differenza.

  • Da dirittierisposte.it – scheda Ferie:

Ferie
Il lavoratore ha il diritto irrinunciabile a ferie annuali retribuite. Il diritto alle ferie soddisfa le esigenze psicofisiche fondamentali del lavoratore, consentendo di partecipare più incisivamente nella vita di relazione, familiare e sociale, tutelando il suo diritto alla salute, nell’interesse dello stesso datore di lavoro. La durata minima delle ferie è fissata in quattro settimane. I contratti collettivi possono estendere tale periodo, ma non ridurlo. Le ferie maturano nel corso del rapporto, anche se questo dura meno di un anno o è in prova. Vengono godute in un arco temporale stabilito dal datore di lavoro sulla base delle proprie esigenze organizzative ma il lavoratore deve essere preventivamente informato. Tuttavia il datore di lavoro, in materia di ferie, deve realizzare un equo contemperamento tra le esigenze dell’impresa e gli interessi del prestatore di lavoro.

Riferimenti Normativi:
Costituzione Art. 36
D.Lgs. 08/04/2003, n. 66 Art. 10
D.L. 06/07/2012, n. 95 Art. 5
Codice Civile Art. 2109
  • Salute e Sicurezza sul Lavoro. Tratto da: La Costituzione Italiana e la salute dei lavoratori

La Costituzione Repubblicana (1948), così com’è, nella sua integrità, è uno strumento prezioso e insostituibile di promozione della salute dei lavoratori, e ispira tutta la normativa di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro.

Il legislatore costituente ha voluto dare il massimo rilievo al lavoro, attribuendogli appunto valore costituzionale, e lo ha sancito innanzitutto nell’articolo 1: “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”.

In materia di igiene e sicurezza del lavoro, la Costituzione (artt. 2, 32, 35 e 41 Cost.) afferma la salvaguardia della persona umana e della sua integrità psico-fisica come principio assoluto e incondizionato, senza ammettere condizionamenti quali quelli derivanti dalla ineluttabilità, dalla fatalità, oppure dalla fattibilità economica e dalla convenienza produttiva circa la scelta e la predisposizione di condizioni ambientali e di lavoro sicure e salubri.

Art. 1.

L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Art. 2.

La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Art. 3.

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Art. 4.

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

TITOLO II – RAPPORTI ETICO-SOCIALI

Art. 32.

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

TITOLO III – RAPPORTI ECONOMICI

Art. 35.

La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.

Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori.

Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro.

Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale, e tutela il lavoro italiano all’estero.

Art. 36.

Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.

Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.

Art. 37.

La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione.

La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato.

La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.

Art. 38 c. 2.

I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.

Art. 41.

L’iniziativa economica privata è libera.

Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

Il lavoro, e la sua tutela, sono oggetto dunque di importanti articoli, a partire dal diritto alla salute: l’art. 32 individua infatti la salute come diritto fondamentale dell’individuo, e interesse della collettività tutelato dallo Stato.

L’art. 36 indica, per quanto è di nostro interesse, che “la durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge” e che “il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi”.

L’art. 37 stabilisce che la donna lavoratrice ha gli stessi diritti dell’uomo e che le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare.

L’art. 38 afferma il diritto del lavoratore ad avere assicurati mezzi adeguati alle esigenze di vita, in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia.

L’art. 41 sancisce che l’iniziativa economica privata “è libera”, ed è dunque diritto costituzionalmente protetto, ma ciò avviene in un quadro di limiti e controlli: infatti questa “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Viene così attribuita preminenza assoluta al diritto alla salute di cui all’art. 32 citato.

Questi articoli trovano una loro specifica applicazione nell’art. 2087 del codice civile che stabilisce l’“obbligo della massima sicurezza tecnologicamente fattibile” a carico del datore di lavoro (punto 3.5).

Tale obbligo preventivo di carattere generale esige dal datore di lavoro il positivo apprestamento dei mezzi idonei ai fini della sicurezza. In tal senso, “i valori espressi dall’art. 41 della Costituzione” giustificano “una valutazione negativa, da parte del legislatore, dei comportamenti dell’imprenditore che, per imprudenza, negligenza o imperizia, non si adoperi, anche al di là degli obblighi specificamente sanzionati, per ridurre l’esposizione al rischio dei propri dipendenti” [Corte Cost., sent. del 18 luglio 1996 n. 312.].

Dunque la tutela della salute del lavoratore, della sua integrità psico-fisica assurge al rango di diritto fondamentale che non tollera alcun tipo di condizionamento, e si presenta come sovraordinato a tutti gli altri diritti previsti dalla Costituzione.

La Corte Costituzionale con sentenza n. 399 del 1996 ha sottolineato con forza che “la salute é un bene primario che assurge a diritto fondamentale della persona ed impone piena ed esaustiva tutela, tale da operare sia in ambito pubblicistico che nei rapporti di diritto privato […]. La tutela della salute riguarda la generale e comune pretesa dell’individuo a condizioni (di vita, di ambiente e) di lavoro che non pongano a rischio questo suo bene essenziale”. Conseguentemente non sono soltanto le norme costituzionali (artt. 32 e 41) ad imporre ai datori di lavoro la massima attenzione per la protezione della salute e dell’integrità fisica dei lavoratori.

In tal senso la Cassazione ha affermato che “non vi può essere dubbio che il lavoratore, ove effettivamente emergano situazioni pregiudizievoli per la sua salute o per la sua incolumità, possa legittimamente astenersi dalle prestazioni che lo espongono ai relativi pericoli, in quanto è coinvolto un diritto fondamentale, espressamente previsto dall’art. 32 della Costituzione, che può e deve essere tutelato in via preventiva, come peraltro attesta anche la norma specifica di cui all’art. 2087 cod. civ.”.[Cass. Sez. Lavoro, sent. del 9 maggio 2005, n. 9576. Cfr. altresì Cass. Sez. Lavoro 30 agosto 2004, n. 17314, 30 luglio 2003, n. 11704].

Dai principi costituzionali la giurisprudenza ha tratto il principio secondo il quale la tutela del diritto alla salute del lavoratore, oltre che diritto all’incolumità fisica del singolo individuo, si configura come diritto ad un ambiente salubre[Cass. Sez. Un., sent del 6 ottobre 1979 n. 5172; Cass. 26 settembre 1996 n. 8699].

Si veda a tal proposito la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione del 6 ottobre 1979 n. 5172, che stabilisce che la domanda con la quale il privato chieda la sospensione di un’opera intrapresa dalla Pubblica Amministrazione, assumendo che questa, per effetto di esalazioni e rumori, pregiudica la salubrità dell’ambiente in cui abita o lavora, recando così nocumento al proprio benessere biologico e psichico, si ricollega ad una posizione soggettiva inquadrabile nell’ambito del diritto alla salute, che la Costituzione riconosce e tutela in via primaria, assoluta, non condizionata ad eventuali interessi di ordine collettivo o generale e, quindi, anche nei confronti dell’Amministrazione medesima.

Possiamo inoltre rilevare come l’art. 2 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali [Roma 4 novembre 1950] e Protocollo addizionale, che recita “il diritto di ogni persona alla vita è protetto dalla legge”, sia espressione internazionale del diritto fondamentale alla salute riconosciuto dall’ordinamento italiano all’art. 32 della Costituzione.

  • Diritti economici, sociali e culturali, tratto da unimondo.org

“La piena realizzazione dei diritti civili e politici senza il godimento dei diritti economici, sociali e culturali è impossibile. Il conseguimento di un duraturo progresso nell’implementazione dei diritti umani dipende da sane ed efficaci politiche, nazionali e internazionali, di sviluppo economico e sociale”. (Punto 1 comma 2 della risoluzione 32/130 approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1977)

Introduzione

Con i due Patti internazionali emanati dalle Nazioni Unite nel 1966, rispettivamente sui Diritti Civili e Politici e sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, si “obbligano” gli Stati che li abbiano ratificati a riconoscere e progettare un’ampia gamma di diritti umani.

I Diritti civili e politici o “diritti di prima generazione”, sono contenuti negli articoli 1-21 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (DUDU), ed altresì previsti dal Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (PDCP). Realizzano l’autonomia dell’individuo nella società e la partecipazione alla vita politica. Alcuni di questi diritti sono anche definiti tradizionalmente “libertà”. In particolare, si distinguono libertà positive (di fare qualcosa), e libertà negative (di essere esenti da qualcosa). Sono “positive”, ad esempio, le libertà di: pensiero, coscienza, religione, associazione, riunione, movimento, stampa. Sono libertà cosiddette “negative” quelle che consistono nel non dover subire tortura, schiavitù, arresto arbitrario, discriminazione. I diritti di prima generazione sono quelli che più facilmente possono tradursi in forme di tutela giudiziaria.

I Diritti economici, sociali e culturali o “diritti di seconda generazione”, sono contenuti negli articoli 22-27 della DUDU. A questo gruppo appartengono diritti che richiedono un intervento attivo dello stato a sostegno di forme di eguaglianza sostanziale: ad esempio il diritto al lavoro, alla sicurezza sociale, alla tutela sindacale, alle cure mediche, all’educazione (o più in generale alla formazione), a un livello di vita decente, alla partecipazione alla vita culturale. A differenza di quelli di prima generazione sono rimasti per lo più allo stato di principi politici. Questo Patto prevede come ulteriore opzione un Protocollo facoltativo, che rende possibile anche ad una singola persona la denuncia di violazioni dei diritti previsti da tale Patto.

Accanto alle dichiarazioni di principi e agli strumenti normativi a carattere generale, una serie di trattati e convenzioni ha regolato singoli aspetti della materia, in molti casi prendendo in considerazione non solo l’individuo astratto della tradizione liberale, ma anche le specifiche necessità di gruppi maggiormente bisognosi di tutela: rifugiati, donne, bambini. In specifico, quindi, la Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1950, la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, del 1979, la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia del 1989.

L’Europa ed altre Organizzazioni Regionali

Su scala “regionale”, il Consiglio d’Europa aveva già adottato nel 1950 una Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani (entrata in vigore nel ’53), che impegnava tra l’altro gli stati aderenti a riconoscere la giurisdizione della Corte europea dei diritti umani, cui possono rivolgersi anche cittadini privati e organizzazioni non governative. Ancora per iniziativa del Consiglio d’Europa, era entrata in vigore nel 1965 la Carta sociale europea che riconosce i seguenti diritti fondamentali:
– diritto al lavoro;
– diritto ad eque condizioni di lavoro;
– diritto alla sicurezza e all’igiene del lavoro;
– diritto a un’equa retribuzione;
– diritto dei lavoratori e dei datori di lavoro di costituire organizzazioni sindacali locali, nazionali e internazionali e di aderirvi;
– diritto dei fanciulli e degli adolescenti alla protezione;
– diritto delle lavoratrici alla protezione;
– diritto all’orientamento professionale;
– diritto alla formazione professionale;
– diritto alla protezione della salute;
– diritto alla sicurezza sociale;
– diritto all’assistenza sociale e medica;
– diritto a beneficiare dei servizi sociali;
– diritto delle persone fisicamente o mentalmente minorate alla formazione professionale e riadattamento sociale;
– diritto della famiglia a una posizione sociale e economica;
– diritto della madre e del fanciullo ad una protezione sociale ed economica;

Sul modello europeo, l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) dava vita alle Convenzioni interamericane sui diritti umani (1969-78). Nel 1981, sulla base di principi parzialmente divergenti dalla DUDU, l’OUA (Organizzazione per l’Unità Africana) emanava una Carta africana dei diritti umani e dei popoli che, ad oggi, è il documento più inclusivo esistente a livello internazionale. Nel 1975 i paesi dell’OSCE partecipanti alla Conferenza di Helsinki sulla sicurezza e la cooperazione in Europa hanno riconosciuto la necessità di tutelare i diritti umani per sviluppare rapporti internazionali pacifici, giusti ed economicamente produttivi (principio VII).

L’Italia

Un anno prima della DUDU fu promulgata la Costituzione italiana che pone a fondamento del patto sociale l’impegno alla tutela dei diritti umani. Infatti all’art. 2 recita: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. L’esigenza del rispetto dei diritti umani viene di fatto rafforzata dall’art.10 della Costituzione, che prevede l’adeguamento automatico del nostro ordinamento ai principi fondamentali del diritto internazionale. A causa dei contrasti tra le maggiori potenze, e della diffusa resistenza ad accettare limiti concreti alla propria sovranità a vantaggio di istituzioni sovranazionali, si deve attendere il 16 dicembre 1966 perché i principi etico-politici della Dichiarazione si possano tradurre nei due accordi giuridicamente vincolanti sovradescritti (Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali ed il Patto internazionale sui diritti civili e politici).

I diritti economici sociali e culturali

I diritti economici sociali e culturali riconosciuti nel Patto internazionale del 1966 sono i seguenti:
– diritto al lavoro, a un salario equo, a un’esistenza decorosa per sé e la famiglia, a condizioni di sicurezza e di igiene nel lavoro, all’avanzamento di carriera, al riposo, agli svaghi, alle ferie;·
– diritto di costituire sindacati, a far parte di sindacati, diritto delle organizzazioni sindacali di formare confederazioni e organizzazioni sindacali internazionali;
– diritto di sciopero;
– diritto alla sicurezza sociale;
– diritto della famiglia alla protezione e all’assistenza;
– diritto a un livello di vita sufficiente per quanto concerne alimentazione, vestiario,alloggio;
– diritto alla salute;
– diritto all’istruzione;
– diritto di partecipare alla vita culturale e di godere dei benefici del progresso scientifico e delle sue applicazioni;
– diritto a godere della tutela degli interessi morali e materiali scaturenti dalla produzione scientifica, letteraria, artistica, ecc.
– diritto all’esercizio di una attività lucrativa nei territorio delle altre parti contraenti;
– diritto dei lavoratori migranti e delle loro famiglie alla protezione e all’assistenza.·

Il diritto alla proprietà privata non figura in nessuno dei due Patti internazionali del 1966 e neppure nella Convenzione europea del 1950; è riconosciuto invece nel suo primo Protocollo aggiuntivo

Nel Patto internazionale non figurano né il diritto all’ambiente né il diritto allo sviluppo. Il loro riconoscimento figura invece nella succitata Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli.

Le violazioni da parte della comunità internazionale e dei governi

Per quanto riguarda specificamente i diritti economici, sociali e culturali, la garanzia internazionale opera al livello minimale della rendicontazione periodica: «Gli stati “parti” si impegnano a presentare, in conformità alle disposizioni di questa parte del Patto, rapporti sulle misure che essi avranno dei diritti riconosciuti nel Patto», Articolo 16,1 del pertinente Patto delle Nazioni Unite. L’organo destinatario dei rapporti è il Segretario generale delle Nazioni Unite, “che ne trasmette copia al Consiglio economico e socialeper l’esame», art. 16,2.

Si può parlare di violazione dei diritti economici, sociali e culturali quando lo Stato:
– non rispetta o non tutela un diritto né rimuove gli ostacoli alla sua immediata realizzazione
– adotta politiche o comportamenti discriminatori o aventi l’effetto di escludere gruppi o singoli per motivi inammissibili
– non dà priorità nella realizzazione degli aspetti essenziali di ciascun diritto alle persone emarginate, escluse o più vulnerabili
– pone eccezioni non previste dal diritto internazionale al godimento di un diritto
– ostacola o permette a terzi di ostacolare la realizzazione di un diritto
– non sanziona un abuso
– non istituisce o non garantisce l’effettivo funzionamento di un organo che controlli l’attuazione del Patto Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali e intervenga a difesa delle sue violazioni

Per garantire la piena attuazione dei diritti economici, sociali e culturali è certamente necessario l’impiego di notevoli risorse economiche ed umane. Tuttavia la scarsità di tali risorse non è una delle principali cause delle diffuse e continue violazioni di questi diritti. Principalmente si compie una violazione o la limitazione di un diritto quando c’è una scelta politica negligente o discriminatoria.

Lo Stato è, altresì, responsabile se non ha predisposto idonee forme d’ indennizzo per le possibili vittime e per le azioni lesive poste in essere da attori non statali che hanno agito in assenza di precise norme legislative.

Nel corso di un conflitto armato o in una situazione d’emergenza che “minacci la vita della nazione”, lo Stato può sospendere temporaneamente solo alcune garanzie riconosciute dal diritto internazionale e per un motivo legittimo, quale la tutela della salute o dell’ordine pubblico.

Le misure che possono limitare i diritti umani devono essere adottate tenendo conto dei criteri di ragionevolezza, di proporzionalità rispetto alla minaccia e della distinzione fra civili e combattenti.

La difesa dei diritti economici, sociali e culturali

Nel periodo seguente la guerra fredda si è assistito alla rivendicazione dei diritti economici, sociali e culturali grazie alla mobilitazione dei movimenti sociali, alle denunce delle vittime, alla previsione di meccanismi procedurali per far valere la responsabilità degli autori delle violazioni e al rinnovato impegno della comunità internazionale.

Le organizzazioni non governative (ONG) internazionali attive in questo campo si sono affermate a partire dalla fine degli anni Ottanta: la FIAN (Food First Information and Action Network), il CESR (Center on Economic and Social Rights) e il COHRE (Centre on Housing Rights and Eviction).

Oggi esiste una rete internazionale, un network attivo in quest’ambito: l’ESCR-Net (Economic, Social and Cultural Rights Network). Si tratta, appunto, di una rete internazionale, di un’iniziativa di collaborazione fra gruppi e singoli provenienti da tutto il mondo del lavoro per assicurare la giustizia economica e sociale attraverso i diritti umani. La rete ESCR-Net cerca di rafforzare il campo di tutti i diritti umani, ma con particolare attenzione ai diritti economici, sociali e culturali e sviluppare ulteriormente gli strumenti per realizzare la loro promozione, protezione e rispetto.

Molto importante è stato anche il lavoro svolto dal CEJIL (Center for Justice in International Law) e dall’INTERIGHTS (International Centre for the Legal Protection of Human Rights) che hanno curato la rappresentanza legale delle vittime di queste violazioni.

Meccanismi di controllo

Diversamente dal Patto sui diritti civili e politici, il Patto sui diritti economici, sociali e culturali non prevedeva in origine nessuno specifico comitato di controllo. Solo nel 1985 il Consiglio Economico e Sociale delle NU (ECOSOC) decise di istituire il Comitato sui diritti economici, sociali e culturali (CESCR), composto da 18 esperti indipendenti incaricati di monitorare l’implementazione del Patto da parte degli Stati, analizzando i rapporti periodici che questi ultimi sono tenuti a preparare ai sensi della parte IV, artt. 16-25 del Patto.

Il 10 dicembre 2008, al termine delle celebrazioni per il 60° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, l’Assemblea Generale ha adottato all’unanimità, con Risoluzione A/RES/63/117, il Protocollo opzionale al Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, che istituisce un meccanismo di comunicazioni individuali per gravi violazioni dei diritti sanciti nel Patto. Il Protocollo impegna gli Stati a riconoscere la competenza del Comitato a ricevere e considerare comunicazioni provenienti da individui, o gruppi di individui, che si reputano vittime di violazioni di uno o più diritti sanciti nel Patto.

Il Protocollo, inoltre, attribuisce altre competenze al Comitato, tra cui:
– ricevere e considerare comunicazioni inter-statali;
– richiedere ad uno Stato di adottare misure urgenti, in circostanze di eccezionale gravità, per impedire danni irreparabili per le vittime di presunte violazioni;
– in caso di violazioni grave e sistematiche, predisporre una missione di inchiesta sul campo.

Il testo del Protocollo è stato elaborato all’interno di un gruppo di lavoro (WG) ad hoc istituito nel 2002 all’interno del Consiglio diritti umani, a cui hanno partecipato rappresentanti di Stati, ONG, agenzie specializzate, nonché numerosi esperti indipendenti. Il WG ha terminato i suoi lavori nel giugno 2008, presentando la propria bozza al Consiglio diritti umani, che ha adottato il Protocollo nel corso della sua VIII Sessione ordinaria (giugno 2008) con Risoluzione 8/2. Il testo è stato poi nuovamente discusso e approvato, sempre all’unanimità, dal Terzo Comitato (Sociale, Umanitario e Culturale) dell’Assemblea Generale nel novembre 2008 (Risoluzione A/63/435).

Il Protocollo sarà aperto alla firma e ratifica da parte degli Stati il 24 settembre 2009, ed entrerà in vigore il terzo mese successivo alla data del deposito presso il Segretario Generale delle Nazioni Unite del decimo strumento di ratifica o di adesione.

Resta il fatto, al di là della ratifica o meno, che la trasgressione dei diritti succitati da parte delle Organizzazioni Governative (Stati) non sia perseguibile in modo coercitivo dalle Organizzazioni Internazionali (OIG) ma solo denunciabile dalle campagne od appelli della società civile (ONG ed Istituti di Ricerca). Ciò fa intravedere che siamo agli albori della storia di tutela del diritto e che solo se le OIG e le ONG riusciranno a “far sistema” si potrà fare un lavoro di advocacy presso gli Stati più irrispettosi.

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