Un diritto alla settimana: verso la Marcia per la Pace. Articolo 18


 Articolo 18

Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti.


Spunti di riflessione.

  • Articolo 18 – Libere coscienze.  Commento del prof.  Antonio Papisca, Cattedra UNESCO Diritti umani, democrazia e pace presso il Centro interdipartimentale sui diritti della persona e dei popoli dell’Università di Padova

Come per altri articoli, anche per commentare questo ci vorrebbe non uno, ma più corsi d’insegnamento che a loro volta attingano ad una pluralità di ambiti disciplinari: dal diritto all’antropologia, dalla storia alla teologia, dalla giurisprudenza delle Corti internazionali a quella dei tribunali e delle corti costituzionali all’interno degli stati. Mi limiterò quindi a fornire soltanto alcuni rapidi spunti per la riflessione.

L’articolo 18 va letto insieme con l’articolo 1: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.
I due articoli contengono la parte per così dire sacrale dell’intera Dichiarazione universale. I soggetti di riferimento sono, ovviamente, tutte le persone umane, quindi ‘credenti’, ‘non credenti’, ‘atei’, ‘agnostici’.
Pensiero, coscienza, religione: è il triangolo valoriale di più denso spessore etico, che qualifica la soggettività giuridica originaria della persona umana la cui retta coscienza (foro interno) è vero tribunale di ultima istanza dei diritti.

L’articolo 18 pone in relazione fra loro tre libertà, che sono sia “da” (interferenze e limitazioni) sia “per” (la realizzazione di percorsi di vita con assunzione di responsabilità personale e sociale). E’ il caso di sottolineare che queste tre libertà si riferiscono all’essere umano integrale – fatto di anima e di corpo, di spirito e di materia – e sono pertanto interdipendenti e indivisibili rispetto a tutti gli altri diritti fondamentali. Però con una caratteristica peculiare. Gli altri diritti possono essere distrutti dall’esterno: si pensi al diritto all’alimentazione o al diritto all’assistenza pubblica in caso di necessità o al diritto al lavoro. Non è così per i tre diritti dell’articolo 18, essi hanno una intrinseca forza di resistenza, possono essere combattuti, contrastati, ma sopravvivono comunque: più forti della morte. Mi possono mettere in carcere, possono combattere la mia religione, ma le mie idee, la mia fede, la mia coscienza rimangono intatte. Al dittatore, al carnefice si può sempre gridare: dov’è la tua vittoria?

All’interno del ‘triangolo’, l’articolo 18 dedica particolare attenzione alla libertà di religione, specificandone i modi di espressione e manifestazione. Il legislatore internazionale è consapevole della delicatezza della materia e dell’impatto che essa ha sulla vita sociale e politica. La religione o un ‘credo’ non sono soltanto un fatto di intimo convincimento che si coltiva nel privato, ma si estrinsecano anche pubblicamente e attraverso organizzazioni che in taluni casi, come quello della Chiesa Cattolica, sono estremamente complesse e  ramificate nel mondo intero, oppure, come nel caso dell’Islam, investono direttamente la stessa ‘forma’ statuale della politica.

Libertà religiosa significa anche libertà di cambiare religione o credo o di non credere più. Questo costituisce oggi un grosso problema, esasperato com’è da rigidità ‘fondamentaliste’.
L’articolo 18 dice che la manifestazione della fede religiosa o di un credo è libera di realizzarsi isolatamente e in comune, privatamente e pubblicamente. Se per le rispettive espressioni comunitarie, la religione cattolica ha bisogno di chiese, l’ebraismo di sinagoghe, l’islam di moschee, quanti professano quelle fedi religiose hanno il diritto di pretendere che gli stati consentano la costruzione degli edifici di culto in appropriata forma. Devono esserci appositi spazi pubblici. Qua e là in Italia c’è dibattito sulla costruzione delle moschee. Il vigente Diritto internazionale dei diritti umani è chiaro: lo Stato è obbligato a permetterne la costruzione. E’ appena il caso di precisare che gli edifici religiosi in tanto sono legittimi in quanto alberghino attività di culto (e di preparazione al culto), e non altro.

La persona umana ha diritto di manifestare la propria religione o il proprio credo anche nell’insegnamento. La scuola privata è libera, sempre nel rispetto della legalità, di fare le scelte che ritiene più opportune e congrue rispetto alla sua identità. Se si tratta di scuola pubblica, le cose cambiano. Il Comitato diritti umani delle Nazioni Unite, nell’esercizio della sua funzione di interprete ufficiale del Patto internazionale sui diritti civili e politici, ha chiarito che ai sensi del vigente Diritto internazionale l’insegnamento della religione nell’ambito delle scuole deve essere impartito in modo obiettivo e neutro, per esempio nella forma di “storia generale ed etica delle religioni”.

C’è anche dibattito sui simboli religiosi a scuola e in altri luoghi pubblici. C’è chi vuole togliere il Crocifisso dalle pareti motivando che nella scuola pubblica aumenta il numero di studenti di religione diversa dalla cristiana. La mia personale risposta è: non togliere, ma aggiungere. Non estirpiamo radici di grandi culture, al contrario motiplichiamole: la condizione della loro compatibilità è che tutte siano compatibili con il codice universale dei diritti umani, a cominciare dall’articolo 1 della Dichiarazione universale. Laicità non significa “togliere” valori, fare tabula rasa. Laicità significa pluralismo e rispetto reciproco. La laicità dello Stato si misura con gli indicatori che si riassumono in “tutti i diritti umani per tutti”, e tra questi, c’è appunto il diritto alla libertà religiosa.

Un ulteriore spunto per la riflessione riguarda l’obiezione di coscienza, in particolare quella al servizio militare. Per anni, non soltanto in Italia, si è discusso se l’obiezione di coscienza fosse compatibile con i doveri di difendere in armi la Patria. Si veniva anche condannati, come successe per Don Lorenzo Milani, e si andava anche in carcere come successe per alcuni esemplari testimoni di nonviolenza. Poi si discusse se si trattasse di un mero “diritto soggettivo” o di un più impegnativo diritto umano fondamentale. La vecchia Commissione diritti umani delle Nazioni Unite, oggi sostituita dal Consiglio diritti umani, si pronunciò nel senso del diritto fondamentale, assumendo che l’obiezione di coscienza costituisce espressione del diritto alla libertà di coscienza.

Ci sono limiti alla manifestazione del credo religioso o di altro credo o di ateismo? Il terzo comma dell’articolo 18 del Patto internazionale sui diritti civili e politici (1966) completa l’omologo articolo 18 della Dichiarazione universale: “La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo può essere sottoposto unicamente alle restrizioni previste dalla legge e che siano necessarie per la tutela della sicurezza pubblica, dell’ordine pubblico o della sanità pubblica, della morale pubblica o degli altri diritti e libertà fondamentali”.

 

 

  • Film Una volta nella vita (2016) di Marie-Castille Mention-Schaar

Ispirato a una storia vera. Liceo Léon Blum di Créteil, città nella ​​banlieue sud-est di Parigi: una scuola che è un incrocio esplosivo di etnie, confessioni religiose e conflitti sociali. Una professoressa, Anne Gueguen (Ariane Ascaride), propone alla sua classe più problematica un progetto comune: partecipare a un concorso nazionale di storia dedicato alla Resistenza e alla Deportazione. Un incontro, quello con la memoria della ​​Shoah, che cambierà per sempre la vita degli studenti.

  • L’obbedienza non è più una virtù. Comunicato pubblicato sulla Nazione di Firenze del 12 febbraio 1965

I cappellani militari e l’obiezione di coscienza. Nell’anniversario della Conciliazione tra la Chiesa e lo Stato italiano, si sono riuniti ieri, presso l’Istituto della Sacra Famiglia in via Lorenzo il Magnifico, i cappellani militari in congedo della Toscana.
Al termine dei lavori, su proposta del presidente della sezione don Alberto Cambi, è stato votato il seguente ordine del giorno:
“I cappellani militari in congedo della regione toscana, nello spirito del recente congresso nazionale dell’associazione, svoltosi a Napoli, tributano il loro riverente e fraterno omaggio a tutti i caduti d’Italia, auspicando che abbia termine, finalmente, in nome di Dio, ogni discriminazione e ogni divisione di parte di fronte ai soldati di tutti i fronti e di tutte le divise, che morendo si sono sacrificati per il sacro ideale della Patria. Considerano un insulto alla Patria e ai suoi caduti la cosiddetta “obiezione di coscienza” che, estranea al comandamento cristiano dell’amore, è espressione di viltà”.
L’assemblea ha avuto termine con una preghiera di suffragio per tutti i caduti.

 

  • Lettera ai cappellani Militari Toscani che hanno sottoscritto il comunicato dell’11 febbraio 1965 (risposta del 23 febbraio 1965, pubblicata il 6 marzo su “Rinascita”). Lorenzo Milani.

Da tempo avrei voluto invitare uno di voi a parlare ai miei ragazzi della vostra vita. Una vita che i ragazzi e io non capiamo.
Avremmo però voluto fare uno sforzo per capire e soprattutto domandarvi come avete affrontato alcuni problemi pratici della vita militare. Non ho fatto in tempo a organizzare questo incontro tra voi e la mia scuola.
Io l’avrei voluto privato, ma ora che avete rotto il silenzio voi, e su un giornale, non posso fare a meno di farvi quelle stesse domande pubblicamente.
PRIMO perché avete insultato dei cittadini che noi e molti altri ammiriamo. E nessuno, ch’io sappia, vi aveva chiamati in causa. A meno di pensare che il solo esempio di quella loro eroica coerenza cristiana bruci dentro di voi una qualche vostra incertezza interiore.
SECONDO perché avete usato, con estrema leggerezza e senza chiarirne la portata, vocaboli che sono più grandi di voi.
Nel rispondermi badate che l’opinione pubblica è oggi più matura che in altri tempi e non si contenterà né d’un vostro silenzio, né d’una risposta generica che sfugga alle singole domande. Paroloni sentimentali o volgari insulti agli obiettori o a me non sono argomenti. Se avete argomenti sarò ben lieto di darvene atto e di ricredermi se nella fretta di scrivere mi fossero sfuggite cose non giuste.
Non discuterò qui l’idea di Patria in sé. Non mi piacciono queste divisioni.
Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto.
Abbiamo dunque idee molto diverse. Posso rispettare le vostre se le giustificherete alla luce del Vangelo o della Costituzione. Ma rispettate anche voi le idee degli altri. Soprattutto se son uomini che per le loro idee pagano di persona.
Certo ammetterete che la parola Patria è stata usata male molte volte. Spesso essa non è che una scusa per credersi dispensati dal pensare, dallo studiare la storia, dallo scegliere, quando occorra, tra la Patria e valori ben più alti di lei.
Non voglio in questa lettera riferirmi al Vangelo. È troppo facile dimostrare che Gesù era contrario alla violenza e che per sé non accettò nemmeno la legittima difesa.
Mi riferirò piuttosto alla Costituzione.
Articolo 11 “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli…”.
Articolo 52 “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”.
Misuriamo con questo metro le guerre cui è stato chiamato il popolo italiano in un secolo di storia.
Se vedremo che la storia del nostro esercito è tutta intessuta di offese alle Patrie degli altri dovrete chiarirci se in quei casi i soldati dovevano obbedire o obiettare quel che dettava la loro coscienza. E poi dovrete spiegarci chi difese più la Patria e l’onore della Patria: quelli che obiettarono o quelli che obbedendo resero odiosa la nostra Patria a tutto il mondo civile? Basta coi discorsi altisonanti e generici. Scendete nel pratico. Diteci esattamente cosa avete insegnato ai soldati. L’obbedienza a ogni costo? E se l’ordine era il bombardamento dei civili, un’azione di rappresaglia su un villaggio inerme, l’esecuzione sommaria dei partigiani, l’uso delle armi atomiche, batteriologiche, chimiche, la tortura, l’esecuzione d’ostaggi, i processi sommari per semplici sospetti, le decimazioni (scegliere a sorte qualche soldato della Patria e fucilarlo per incutere terrore negli altri soldati della Patria), una guerra di evidente aggressione, l’ordine d’un ufficiale ribelle al popolo sovrano, la repressione di manifestazioni popolari?
Eppure queste cose e molte altre sono il pane quotidiano di ogni guerra. Quando ve ne sono capitate davanti agli occhi o avete mentito o avete taciuto. O volete farci credere che avete volta volta detto la verità in faccia ai vostri “superiori” sfidando la prigione o la morte? se siete ancora vivi e graduati è segno che non avete mai obiettato a nulla. Del resto ce ne avete dato la prova mostrando nel vostro comunicato di non avere la più elementare nozione del concetto di obiezione di coscienza.
Non potete non pronunciarvi sulla storia di ieri se volete essere, come dovete essere, le guide morali dei nostri soldati. Oltre a tutto la Patria, cioè noi, vi paghiamo o vi abbiamo pagato anche per questo. E se manteniamo a caro prezzo (1000 miliardi l’anno) l’esercito, è solo perché difenda colla Patria gli alti valori che questo concetto contiene: la sovranità popolare, la libertà, la giustizia. E allora (esperienza della storia alla mano) urgeva più che educaste i nostri soldati all’obiezione che all’obbedienza.
L’obiezione in questi 100 anni di storia l’han conosciuta troppo poco. L’obbedienza, per disgrazia loro e del mondo, l’han conosciuta anche troppo.
Scorriamo insieme la storia. Volta volta ci direte da che parte era la Patria, da che parte bisognava sparare, quando occorreva obbedire e quando occorreva obiettare.
1860. Un esercito di napoletani, imbottiti dell’idea di Patria, tentò di buttare a mare un pugno di briganti che assaliva la sua Patria. Fra quei briganti c’erano diversi ufficiali napoletani disertori della loro Patria. Per l’appunto furono i briganti a vincere. Ora ognuno di loro ha in qualche piazza d’Italia un monumento come eroe della Patria.
A 100 anni di distanza la storia si ripete: l’Europa è alle porte.
La Costituzione è pronta a riceverla: “L’Italia consente alle limitazioni di sovranità necessarie…”. I nostri figli rideranno del vostro concetto di Patria, così come tutti ridiamo della Patria Borbonica. I nostri nipoti rideranno dell’Europa. Le divise dei soldati e dei cappellani militari le vedranno solo nei musei.
La guerra seguente 1866 fu un’altra aggressione. Anzi c’era stato un accordo con il popolo più attaccabrighe e guerrafondaio del mondo per aggredire l’Austria insieme.
Furono aggressioni certo le guerre (1867-1870) contro i Romani i quali non amavano molto la loro secolare Patria, tant’è vero che non la difesero. Ma non amavano molto neanche la loro nuova Patria che li stava aggredendo, tant’è vero che non insorsero per facilitarle la vittoria. Il Gregorovius spiega nel suo diario: “L’insurrezione annunciata per oggi, è stata rinviata a causa della pioggia”.
Nel 1898 il Re “Buono” onorò della Gran Croce Militare il generale Bava Beccaris per i suoi meriti in una guerra che è bene ricordare. L’avversario era una folla di mendicanti che aspettavano la minestra davanti a un convento a Milano. Il Generale li prese a colpi di cannone e di mortaio solo perché i ricchi (allora come oggi) esigevano il privilegio di non pagare tasse. Volevano sostituire la tassa sulla polenta con qualcosa di peggio per i poveri e di meglio per loro. Ebbero quel che volevano. I morti furono 80, i feriti innumerevoli. Fra i soldati non ci fu né un ferito né un obiettore. Finito il servizio militare tornarono a casa a mangiar polenta. Poca perché era rincarata.
Eppure gli ufficiali seguitarono a farli gridare “Savoia” anche quando li portarono a aggredire due volte (1896 e 1935) un popolo pacifico e lontano che certo non minacciava i confini della nostra Patria. Era l’unico popolo nero che non fosse ancora appestato dalla peste del colonialismo europeo.
Quando si battono bianchi e neri siete coi bianchi? Non vi basta di imporci la Patria Italia? Volete imporci anche la Patria Razza Bianca? Siete di quei preti che leggono la Nazione? Stateci attenti perché quel giornale considera la vita d’un bianco più che quella di 100 neri. Avete visto come ha messo in risalto l’uccisione di 60 bianchi nel Congo, dimenticando di descrivere la contemporanea immane strage di neri e di cercarne i mandanti qui in Europa?
Idem per la guerra di Libia.
Poi siamo al ’14. L’Italia aggredì l’Austria con cui questa volta era alleata.
Battisti era un Patriota o un disertore? È un piccolo particolare che va chiarito se volete parlare di Patria. Avete detto ai vostri ragazzi che quella guerra si poteva evitare? Che Giolitti aveva la certezza di poter ottenere gratis quello che poi fu ottenuto con 600.000 morti?
Che la stragrande maggioranza della Camera era con lui (450 su 508)? Era dunque la Patria che chiamava alle armi? E se anche chiamava, non chiamava forse a una “inutile strage”? (l’espressione non è d’un vile obiettore di coscienza ma d’un Papa canonizzato).
Era nel ’22 che bisognava difendere la Patria aggredita. Ma l’esercito non la difese. Stette a aspettare gli ordini che non vennero. Se i suoi preti l’avessero educato a guidarsi con la Coscienza invece che con l’Obbedienza “cieca, pronta, assoluta” quanti mali sarebbero stati evitati alla Patria e al mondo (50.000.000 di morti). Così la Patria andò in mano a un pugno di criminali che violò ogni legge umana e divina e riempiendosi la bocca della parola Patria, condusse la Patria allo sfacelo. In quei tragici anni quei sacerdoti che non avevano in mente e sulla bocca che la parola sacra “Patria”, quelli che di quella parola non avevano mai voluto approfondire il significato, quelli che parlavano come parlate voi, fecero un male immenso proprio alla Patria (e, sia detto incidentalmente, disonorarono anche la Chiesa).
Nel ’36 50.000 soldati italiani si trovarono imbarcati verso una nuova infame aggressione: Avevano avuto la cartolina di precetto per andar “volontari” a aggredire l’infelice popolo spagnolo.
Erano corsi in aiuto d’un generale traditore della sua Patria, ribelle al suo legittimo governo e al popolo suo sovrano. Coll’aiuto italiano e al prezzo d’un milione e mezzo di morti riuscì a ottenere quello che volevano i ricchi: blocco dei salari e non dei prezzi, abolizione dello sciopero, del sindacato, dei partiti, d’ogni libertà civile e religiosa.
Ancor oggi, in sfida al resto del mondo, quel generale ribelle imprigiona, tortura, uccide (anzi garrota) chiunque sia reo d’aver difeso allora la Patria o di tentare di salvarla oggi. Senza l’obbedienza dei “volontari” italiani tutto questo non sarebbe successo.
Se in quei tristi giorni non ci fossero stati degli italiani anche dall’altra parte, non potremmo alzar gli occhi davanti a uno spagnolo. Per l’appunto questi ultimi erano italiani ribelli e esuli dalla loro Patria. Gente che aveva obiettato.
Avete detto ai vostri soldati cosa devono fare se gli capita un generale tipo Franco? Gli avete detto che agli ufficiali disobbedienti al popolo loro sovrano non si deve obbedire?
Poi dal ’39 in là fu una frana: i soldati italiani aggredirono una dopo l’altra altre sei Patrie che non avevano certo attentato alla loro (Albania, Francia, Grecia, Egitto, Jugoslavia, Russia).
Era una guerra che aveva per l’Italia due fronti. L’uno contro il sistema democratico. L’altro contro il sistema socialista. Erano e sono per ora i due sistemi politici più nobili che l’umanità si sia data.
L’uno rappresenta il più alto tentativo dell’umanità di dare, anche su questa terra, libertà e dignità umana ai poveri.
L’altro il più alto tentativo dell’umanità di dare, anche su questa terra, giustizia e eguaglianza ai poveri.
Non vi affannate a rispondere accusando l’uno o l’altro sistema dei loro vistosi difetti e errori. Sappiamo che son cose umane. Dite piuttosto cosa c’era di qua dal fronte. Senza dubbio il peggior sistema politico che oppressori senza scrupoli abbiano mai potuto escogitare. Negazione d’ogni valore morale, di ogni libertà se non per i ricchi e per i malvagi. Negazione d’ogni giustizia e d’ogni religione. Propaganda dell’odio e sterminio d’innocenti. Fra gli altri lo sterminio degli ebrei (la Patria del Signore dispersa nel mondo e sofferente).
Che c’entrava la Patria con tutto questo? e che significato possono più avere le Patrie in guerra da che l’ultima guerra è stata un confronto di ideologie e non di patrie?
Ma in questi cento anni di storia italiana c’è stata anche una guerra “giusta” (se guerra giusta esiste). L’unica che non fosse offesa delle altrui Patrie, ma difesa della nostra: la guerra partigiana.
Da un lato c’erano dei civili, dall’altra dei militari. Da un lato soldati che avevano obbedito, dall’altra soldati che avevano obiettato.
Quali dei due contendenti erano, secondo voi, i “ribelli”, quali i “regolari”?
È una nozione che urge chiarire quando si parla di Patria. Nel Congo p. es. quali sono i “ribelli”?
Poi per grazia di Dio la nostra Patria perse l’ingiusta guerra che aveva scatenato. Le Patrie aggredite dalla nostra Patria riuscirono a ricacciare i nostri soldati.
Certo dobbiamo rispettarli. Erano infelici contadini o operai trasformati in aggressori dall’obbedienza militare. Quell’obbedienza militare che voi cappellani esaltate senza nemmeno un “distinguo” che vi riallacci alla parola di San Pietro: “Si deve obbedire agli uomini o a Dio?”. E intanto ingiuriate alcuni pochi coraggiosi che son finiti in carcere per fare come ha fatto San Pietro.
In molti paesi civili (in questo più civili del nostro) la legge li onora permettendo loro di servir la Patria in altra maniera. Chiedono di sacrificarsi per la Patria più degli altri, non meno. Non è colpa loro se in Italia non hanno altra scelta che di servirla oziando in prigione.
Del resto anche in Italia c’è una legge che riconosce un’obiezione di coscienza. È proprio quel Concordato che voi volevate celebrare. Il suo terzo articolo consacra la fondamentale obiezione di coscienza dei Vescovi e dei Preti.
In quanto agli altri obiettori, la Chiesa non si è ancora pronunziata né contro di loro né contro di voi. La sentenza umana che li ha condannati dice solo che hanno disobbedito alla legge degli uomini, non che son vili. Chi vi autorizza a rincarare la dose? E poi a chiamarli vili non vi viene in mente che non s’è mai sentito dire che la viltà sia patrimonio di pochi, l’eroismo patrimonio dei più?
Aspettate a insultarli. Domani forse scoprirete che sono dei profeti. Certo il luogo dei profeti è la prigione, ma non è bello star dalla parte di chi ce li tiene.
Se ci dite che avete scelto la missione di cappellani per assistere feriti e moribondi, possiamo rispettare la vostra idea. Perfino Gandhi da giovane l’ha fatto. Più maturo condannò duramente questo suo errore giovanile. Avete letto la sua vita?
Ma se ci dite che il rifiuto di difendere se stesso e i suoi secondo l’esempio e il comandamento del Signore è “estraneo al comandamento cristiano dell’amore” allora non sapete di che Spirito siete! che lingua parlate? come potremo intendervi se usate le parole senza pesarle? se non volete onorare la sofferenza degli obiettori, almeno tacete!
Auspichiamo dunque tutto il contrario di quel che voi auspicate: Auspichiamo che abbia termine finalmente ogni discriminazione e ogni divisione di Patria di fronte ai soldati di tutti i fronti e di tutte le divise che morendo si son sacrificati per i sacri ideali di Giustizia, Libertà, Verità.
Rispettiamo la sofferenza e la morte, ma davanti ai giovani che ci guardano non facciamo pericolose confusioni fra il bene e il male, fra la verità e l’errore, fra la morte di un aggressore e quella della sua vittima.
Se volete diciamo: preghiamo per quegli infelici che, avvelenati senza loro colpa da una propaganda d’odio, si son sacrificati per il solo malinteso ideale di Patria calpestando senza avvedersene ogni altro nobile ideale umano.

 

  • L’emancipazione dei valdesi e degli ebrei

 

30 novembre 1847, il marchese Roberto d’Azeglio si fa promotore di una raccolta di firme da inviare al sovrano per l’emancipazione civile dei Valdesi e degli Ebrei.
1° febbraio 1848, il Re riceve dal rabbino del collegio israelitico di Torino, Lelio Cantoni, un indirizzo con cui tutti gli israeliti del regno chiedono l’emancipazione civile.
17 febbraio 1848, i valdesi residenti nel Regno di Sardegna ottengono di «godere di tutti i diritti civili e politici al pari dei sudditi cattolici, frequentare le scuole dentro e fuori delle università e conseguire i gradi accademici». Carlo Alberto, con le celebri Regie Patenti, pone fine a una secolare discriminazione e riconosce a tutti i sudditi del regno la libertà di culto. Numerose petizioni chiedono al monarca l’estensione agli ebrei dei diritti civili e politici.
19 febbraio 1848, per festeggiare la promulgazione della costituzione toscana del 15 febbraio, una folla plaudente si riunisce sotto le finestre dell’ambasciatore del granduca e davanti alla casa del pastore Bert per salutare l’emancipazione dei valdesi. Per solidarietà e in attesa di un provvedimento analogo, gli israeliti illuminano le loro case.
22 febbraio 1848, a Torino l’arcivescovo Fransoni e il nunzio pontificio rifiutano l’invito dei sindaci della città a celebrare la messa per la festa nazionale del 27 febbraio, sotto il pronao della Gran Madre; in luogo della messa il parroco della chiesa avrebbe cantato un Te Deum. La commissione organizzatrice della festa estrae a sorte l’ordine numerico con cui le corporazioni, unioni e società avrebbero preso posto nel corteo; per acclamazione ai valdesi viene assegnato il primo posto.
Alla sera del 26 febbraio 1848 la comunità protestante di Torino inneggiò alla libertà sotto le finestre del marchese d’Azeglio.
27 febbraio 1848, alla grandiosa festa nazionale al primo posto del corteo spicca il drappello dei valdesi, di circa 500 persone scese dalle loro valli, che si era recata in precedenza presso la legazione prussiana per una funzione religiosa; alcuni giovani alla testa del corteo con bandiere con scritto “A Carlo Alberto i Valdesi riconoscenti”.
7 marzo 1848, il governo respinge la richiesta degli israeliti di far parte della guardia nazionale.
21 marzo 1848, 150 israeliti torinesi si dirigono verso il deposito di Chivasso, dove si accolgono i volontari per la guerra a fianco dei lombardi.
29 marzo 1848, agli ebrei del Regno Sardo (dal 1824 erano stati nuovamente risospinti entro il perimetro del ghetto torinese) vengono riconosciuti i diritti civili, non ancora i diritti politici: lo sarebbero stati nel giugno seguente grazie all’entrata in vigore della legge Sineo.
31 marzo 1848, alla sera le case degli israeliti sono illuminate a festa per festeggiare l’emancipazione.
5 aprile 1848, un indirizzo di ringraziamento viene rivolto dal Comitato israelitico di Torino ai giornalisti.
11 aprile 1848, gli israeliti di Torino, anziché manifestare la loro gioia con conviti e luminarie, dopo aver ringraziato Dio con celebrazioni religiose, offrono ai poveri di Torino: 10.000 razioni di pane, 500 lire per le famiglie povere dei soldati al fronte, 400 lire al Ricovero di Mendicità, 400 lire all’Ospedale Cottolengo, 400 lire per gli israeliti poveri, 150 all’ospedale dei valdesi.
Aprile 1848, un decreto luogotenenziale ammette gli israeliti regnicoli alla leva militare.
17 Febbraio 2015. La Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni intende sottolineare e rilanciare la proposta, avanzata dal mondo evangelico italiano, di istituire, nella data del 17 FEBBRAIO la “Giornata della libertà di pensiero, di coscienza e di religione”,ricordando che : Nel giorno 17 FEBBRAIO si concentrano due importanti ricorrenze per la storia e per la cultura laica: il 17 febbraio 1600, a Roma in Campo dei Fiori, al termine di un processo promosso dall’Inquisizione, veniva arso vivo, come eretico, il fi­losofo nolano Giordano Bruno, campione del libero pensiero e della libertà di coscienza; il 17 febbraio 1848, a Torino, con l’editto delle Lettere Patenti, il re Carlo Alberto, concedeva i diritti civili ai valdesi e, successivamente, agli ebrei, premessa fondamentale per la libertà religiosa in Italia.

 

 

 

 

 

  • La Costituzione Italiana

Articolo 2 Costituzione della Repubblica italiana Art. 2 La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Viene qui affermato il principio personalista, che colloca la persona umana, nella sua dimensione individuale così come in quella sociale, al vertice dei valori riconosciuti dall’ordinamento giuridico. L’individuo è considerato parte integrante della comunità, inserito perciò in una rete di rapporti sociali, nel cui ambito si creano le condizioni per lo sviluppo della sua personalità. Le “formazioni sociali” (quali sono, ad esempio, la scuola, i partiti, i sindacati, le collettività locali, le confessioni religiose, la famiglia) risultano, dunque, fondamentali per la crescita dell’individuo e questo spiega perché, sulla base del principio pluralista, ad esse vengono riconosciuti e garantiti gli stessi diritti dell’individuo. In pratica, risulterebbe contraria alla Costituzione qualsiasi legge destinata a sottoporre a controlli di polizia le attività di una qualsiasi associazione. La norma, comunque, ponendo sullo stesso piano i singoli e le formazioni sociali, presuppone anche l’idea che nessuna libertà collettiva possa prescindere dalla libertà dei singoli. Nella parte finale dell’articolo viene affermato il principio solidarista, in virtù del quale ogni cittadino ha il dovere di operare a vantaggio della comunità (ad esempio, rispettando l’obbligo di contribuire alle spese pubbliche, sancito dal successivo art. 53), partecipando attivamente alla vita politica, economica e sociale del Paese. Proprio l’adempimento di questi doveri “inderogabili” trasforma l’individuo in cittadino responsabile.

Costituzione della Repubblica italiana Art. 8 Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.
Il primo comma di questo articolo applica in àmbito religioso il principio d’eguaglianza sancito dall’art. 3. La Costituzione pone sullo stesso piano tutte le religioni che non abbiano usi in contrasto con le leggi. La Repubblica si ispira, dunque, ad un atteggiamento di neutralità nei confronti dei diversi culti e si impegna a tutelare senza distinzioni tutte le confessioni religiose. Pur in forme diverse dal Concordato che regola i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica, vale anche per le altre confessioni religiose il principio pattizio, in forza del quale i rapporti tra Stato e singole confessioni sono regolati mediante accordi tra le parti. A partire dal 1984 lo Stato italiano ha cominciato a dare attuazione a questa norma, stipulando l’intesa con la Tavola Valdese. Successivamente sono state sottoscritte ulteriori intese con altre confessioni religiose. Questo articolo, col riconoscimento del pluralismo confessionale, segna il definitivo superamento dell’art. 1 dello Statuto albertino, che dichiarava “la religione cattolica, apostolica romana sola religione di Stato”. La garanzia di un effettivo pluralismo confessionale è, peraltro, assicurata dal principio di neutralità e laicità dello Stato: lo Stato, cioè, tutela la libertà di religione in quanto non determina situazioni di privilegio né ostacola in alcun modo qualsiasi altro culto diverso da quello cattolico.

Costituzione della Repubblica italiana Art. 19 Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.
Si tratta dell’applicazione dell’articolo precedente allo specifico ambito religioso. Viene pienamente riconosciuta la libertà religiosa: l’equiparazione tra le diverse fedi è totale; ne consegue che ha pari dignità anche il rifiuto di ogni credo religioso. Va rilevato che il diritto in oggetto viene sancito erga omnes, cioè per chiunque risieda nel territorio nazionale, sia esso cittadino o straniero. L’esercizio del culto trova un limite nell’osservanza del “buon costume”, cioè di comportamenti rispettosi della pubblica decenza. La norma rappresenta un’ulteriore conferma della laicità dello Stato, che si realizza quando viene riconosciuta la libertà di religione e delle confessioni religiose, senza che venga individuata una religione “ufficiale” dello Stato. E’ opportuno ricordare che l’art. 1 dello Statuto Albertino, dichiarando la religione Cattolica, Apostolica e Romana “sola Religione dello Stato” (mentre gli altri culti venivano “tollerati conformemente alle leggi”), prefigurava, invece, uno Stato confessionale.

 

  • Dichiarazione sull’eliminazione di tutte le forme d’intolleranza e di discriminazione fondate sulla religione o il credo (1981)

Data di adozione: 25/11/1981
Organizzazione che ha prodotto il documento: ONU – Organizzazione delle Nazioni Unite
Annotazioni: Adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con risoluzione 36/55 del 25 novembre 1981

L’Assemblea Generale,

Considerato che uno dei principi fondamentali dello Statuto delle Nazioni Unite è quello della dignità e dell’uguaglianza inerenti a tutti gli esseri umani e che tutti gli Stati membri si sono impegnati ad agire, sia congiuntamente che separatamente, in collaborazione con l’Organizzazione delle Nazioni Unite, al fine di promuovere e di incoraggiare il rispetto universale ed effettivo dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti, senza distinzioni di razza, di sesso, di lingua o di religione,

Considerato che la Dichiarazione universale dei diritti umani ed i Patti Internazionali relativi ai diritti umani proclamano i principi di non discriminazione e di uguaglianza di fronte alla legge e il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza, di religione o di credo,

Considerato che l’inosservanza e la violazione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in particolare del diritto alla libertà di pensiero, di coscienza, di religione o di credo, sono stati direttamente o indirettamente all’origine di guerre e di grandi sofferenze inflitte all’umanità, in special modo qualora siano serviti come mezzo d’ingerenza esterna negli affari interni di altri Stati e per attizzare l’odio tra i popoli e le nazioni,

Considerato che la religione o il credo costituiscono, per colui che li professi, uno degli elementi fondamentali della sua concezione della vita e che la libertà di religione o di credo deve essere integralmente rispettata e garantita,

Considerato che è essenziale contribuire alla comprensione, alla tolleranza e al rispetto per quanto concerne la libertà di religione o di credo ed assicurarsi che risulti inammissibile l’utilizzo della religione o del credo a fini incompatibili con lo Statuto delle Nazioni Unite, gli altri strumenti pertinenti delle Nazioni Unite ed i fini ed i principi della presente Dichiarazione,

Convinta che la libertà di religione o di credo dovrebbe altresì contribuire alla realizzazione degli obiettivi di pace mondiale, di giustizia sociale e di amicizia tra i popoli e all’eliminazione delle ideologie o delle pratiche del colonialismo e della discriminazione razziale,

Preso nota con soddisfazione dell’adozione, sotto gli auspici delle Nazioni Unite e delle agenzie specializzate, di varie convenzioni, tese ad eliminare diverse forme di discriminazione, e dell’entrata in vigore di alcune di esse,

Preoccupata per le manifestazioni di intolleranza e per l’esistenza di pratiche discriminatorie in materia di religione o di credo che si riscontrano ancora in certe parti del mondo,

Decisa ad adottare ogni misura necessaria per eliminare rapidamente ogni forma e manifestazione di questa intolleranza e a prevenire e combattere qualsiasi discriminazione fondata sulla religione o il credo,

Proclama la presente Dichiarazione sulla eliminazione di tutte le forme di intolleranza e di discriminazione fondate sulla religione o il credo.

Articolo 1.

1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Questo diritto include la libertà di professare una religione o qualunque altro credo di propria scelta, nonché la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo, sia individualmente che in comune con altri, sia in pubblico che in privato, per mezzo del culto e dell’osservanza di riti, della pratica e dell’insegnamento.

2. Nessun individuo sarà soggetto a coercizioni di sorta che pregiudichino la sua libertà di professare una religione o un credo di propria scelta.

3. La libertà di professare la propria religione o il proprio credo potrà essere soggetta alle sole limitazioni prescritte dalla legge e che risultino necessarie alla tutela della sicurezza pubblica, dell’ordine pubblico e della sanità pubblica o della morale o delle libertà e dei diritti fondamentali altrui.

Articolo 2.

1. Nessun individuo può essere soggetto a discriminazioni di sorta da parte di uno Stato, di un’istituzione, di un gruppo o di un qualsiasi individuo sulla base della propria religione o del proprio credo.

2. Ai fini della presente Dichiarazione, l’espressione “intolleranza e discriminazione fondate sulla religione o il credo” sta a significare ogni forma di distinzione, di esclusione, di restrizione o di preferenza basata sulla religione o il credo, avente per scopo o per effetto la soppressione o la limitazione del riconoscimento, del godimento o dell’esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali su una base di eguaglianza.

Articolo 3.

La discriminazione tra gli esseri umani per motivi di religione o di credo costituisce un affronto alla dignità umana ed un disconoscimento dei principi dello Statuto delle Nazioni Unite, e dovrà essere condannata in quanto violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali proclamati nella Dichiarazione universale dei diritti umani ed enunciati in dettaglio nei Patti Internazionali relativi ai diritti umani, essa viene altresì condannata come un ostacolo alle relazioni amichevoli e pacifiche tra le nazioni.

Articolo 4.

1. Tutti gli Stati dovranno adottare misure efficaci per prevenire ed eliminare qualsiasi discriminazione fondata sulla religione o il credo nel riconoscimento, nell’esercizio e nel godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali in tutti i campi della vita civile, economica, politica, sociale e culturale.

2. Tutti gli Stati si sforzeranno di adottare misure legislative o di revocare, all’occorrenza, quelle che sono in vigore, al fine di proibire ogni forma di discriminazione, di questo tipo, e di adottare ogni misura appropriata per combattere l’intolleranza fondata sulla religione o il credo.

Articolo 5.

1. I genitori o, all’occorrenza, i tutori legali di un fanciullo hanno il diritto di organizzare la vita in seno alla famiglia in conformità alla propria religione o al loro credo e tenuto conto dell’educazione morale secondo cui ritengono che il fanciullo debba essere allevato.

2. Ogni fanciullo dovrà godere del diritto di ricevere un’educazione in materia di religione o di credo secondo i desideri dei genitori o, all’occorrenza, dei suoi tutori legali, e non dovrà essere costretto a ricevere un’educazione religiosa contraria ai desideri dei suoi genitori e dei suoi tutori legali, avendo come principio ispirativo l’interesse del fanciullo.

3. Il fanciullo dovrà essere protetto contro ogni forma di discriminazione fondata sulla religione o il credo. Egli dovrà essere allevato in uno spirito di comprensione, di tolleranza, di amicizia tra i popoli, di pace e di fraternità universale, di rispetto della religione o del credo altrui e nella piena consapevolezza che la sua energia ed i suoi talenti debbono essere dedicati al servizio dei propri simili.

4. Qualora un fanciullo non si trovi né sotto la tutela dei genitori, né sotto quella di tutori legali, i desideri espressi da questi ultimi, o qualunque testimonianza raccolta sui loro desideri in materia di religione o di credo, saranno tenuti in debita considerazione, avendo come principio ispirativo l’interesse del fanciullo.

5. Le pratiche di una religione o di un credo in cui è allevato un fanciullo non devono recare danno alla sua salute fisica o mentale e al suo completo sviluppo, tenuto conto del paragrafo 3 dell’articolo 1 della presente Dichiarazione.

Articolo 6.

In conformità all’articolo 1 della presente Dichiarazione e previa riserva delle disposizioni del paragrafo 3 del suddetto articolo, il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza, di religione, di credo include, tra l’altro, le libertà seguenti:

a) La libertà di professare un culto e di tenere riunioni connesse ad una religione o a un credo, e di istituire e mantenere luoghi a tali fini;

b)La libertà di fondare e di mantenere appropriate istituzioni di tipo caritativo o umanitario;

c)La libertà di produrre, acquistare ed usare, in misura adeguata, gli oggetti necessari ed i materiali relativi ai riti e alle tradizioni di una religione o di un credo;

d) La libertà di insegnare una religione o un credo in luoghi adatti a tale scopo;

e) La libertà di sollecitare e di ricevere contributi volontari, di natura finanziaria e di altro tipo, da parte di privati e di istituzioni;

f) La libertà di formare, di nominare, di eleggere, di designare per successione leaders appropriati, in conformità ai bisogni e alle norme di qualsiasi religione o credo;

g) La libertà di osservare i giorni di riposo e di celebrare le festività ed i riti di culto secondo i precetti della propria religione o credo;

h) La libertà di istituire e di mantenere comunicazioni con individui e comunità in materia di religione o di credo, a livello nazionale ed internazionale.

Articolo 7.

I diritti e libertà proclamati nella presente Dichiarazione sono recepiti nella legislazione nazionale, in modo che ciascuno sia in grado di fruire di tali diritti e libertà nella pratica.

Articolo 8.

Nessuna disposizione della presente Dichiarazione sarà interpretata come restrizione o deroga ai diritti enunciati nella Dichiarazione universale dei diritti umani e nei Patti internazionali relativi ai diritti umani.

  • Da Frontier News Storie di un mondo plurale: La lotta di Nelson Mandela in 15 frasi

Odio intensamente la discriminazione razziale e in tutte le sue manifestazioni. L’ho combattuta durante tutta la mia vita, la combatto ora, e lo farò fino alla fine dei miei giorni”. [1962, nel suo primo processo per incitamento allo sciopero]

“Nel corso della mia vita mi sono dedicato alla lotta del popolo africano. Ho combattuto contro la dominazione bianca e ho combattuto contro la dominazione nera. Ho amato l’ideale di una società democratica e libera in cui tutte le persone potranno vivere insieme in armonia e con pari opportunità. È un ideale che spero di vivere. Ma, mio signore, se necessario, è un ideale per cui sono disposto a morire”. [20 aprile 1964, processo Rivonia, davanti alla Corte Suprema di Pretoria]

“La nostra marcia verso la libertà è irreversibile. Non dobbiamo permettere alla paura di essere tra noi. Il suffragio universale sulla base di elettori comuni in un Sudafrica unito, democratico e non razzista è l’unica via per la pace e l’armonia razziale”.

“Unitevi! Mobilitatevi! Lottate! Tra l’incudine delle azioni di massa ed il martello della lotta armata dobbiamo annientare l’apartheid!” [dal messaggio dal carcere, pubblicato sul Manifesto dell’ANC il 10 giugno 1980]

“Io sto qui davanti a voi non come un profeta, ma come un vostro umile servo. Del popolo. I vostri instancabili ed eroici  sacrifici hanno reso possibile che io fossi qui oggi. Pertanto metto i restanti anni della mia vita nelle vostre mani.” [11 febbraio 1990, nel giorno della sua scarcerazione]

“Siamo qui oggi nient’altro che come rappresentanti dei milioni di persone, tra la nostra gente, che hanno osato ribellarsi contro un sistema sociale la cui stessa essenza è la guerra, la violenza, il razzismo, l’oppressione, la repressione e l’impoverimento di un intero popolo”. [1993, dal discorso di accettazione del Premio Nobel per la Pace]

“L’atmosfera tranquilla e tollerante che ha prevalso durante le elezioni raffigura il tipo di Sud Africa che possiamo costruire. Definisce la base per il futuro. Potremmo avere le nostre differenze, ma siamo un solo popolo con un destino comune nella nostra ricca varietà di culture, razze e tradizioni”. [Johannesburg, 2 maggio 1994. “Victory speech”, in cui Mandela annuncia la vittoria del Congresso Nazionale Africano]

“Tra i sudafricani la lotta per la democrazia non è mai stata una questione perseguita da una sola razza, classe, comunità religiosa o di genere. In onore di coloro che hanno combattuto per vedere l’arrivo di questo giorno, onoriamo i migliori figli e figlie di tutto il nostro popolo. Tra questi possiamo contare africani, meticci, bianchi, indiani, musulmani, cristiani, indù, ebrei – tutti uniti da una visione comune di una vita migliore per la gente di questo paese”. [9 maggio 1994, dal discorso di insediamento]

“Sappiamo troppo bene che la nostra libertà è incompleta senza la libertà dei palestinesi”.

“Quando a un uomo viene negato il diritto di vivere la vita in cui crede, non ha altra scelta che diventare un fuorilegge”.

“Nessuno nasce odiando un’altra persona a causa del colore della sua pelle, del suo background, o della sua religione. La gente impara ad odiare; e, se si può imparare ad odiare, si può essere insegnati ad amare, perché l’amore è più naturale per il cuore umano rispetto al suo opposto”.

“L’istruzione è il grande motore dello sviluppo personale. È attraverso l’istruzione che la figlia di un contadino può diventare un medico, che il figlio di un minatore può diventare il capo della miniera, che un bambino di contadini può diventare il presidente di una grande nazione. È quello che facciamo con ciò che abbiamo, non quello che ci viene dato, che separa una persona da un’altra”.

“Non c’è un percorso facile per la libertà, in nessun luogo. E molti di noi dovranno passare attraverso la valle dell’ombra della morte, più e più volte, prima di raggiungere la vetta dei nostri desideri”.

“Nessuno è nato schiavo, né signore, né per vivere in miseria, ma tutti siamo nati per essere fratelli”.

“Un vincitore è solo un sognatore che non si è arreso”.

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