Un diritto alla settimana: verso la Marcia per la Pace. Articolo 13

Se settimana scorsa è stata la volta del diritto alla privacy, questa settimana tocca a un tema altrettanto complesso e attuale a livello di dibattito pubblico: la libertà di movimento, diritto tutelato dall’articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti umani.


 Articolo 13


1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato.

2. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese.


Spunti di riflessione.

  • Commento del prof. Antonio Papisca, Cattedra UNESCO Diritti umani, democrazia e pace presso il Centro interdipartimentale sui diritti della persona e dei popoli dell’Università di Padova

E’ il diritto fondamentale ad abitare la Terra-casa comune di “tutti i membri della famiglia umana”. La libertà di movimento è condizione indispensabile per il libero sviluppo della persona. Il ‘movimento’, evidentemente, non è inteso soltanto in funzione di turismo o di studi e ricerca scientifica. Sempre più numerosi sono coloro che si muovono per emigrare e stabilirsi in altri paesi.

La norma internazionale distingue il movimento a seconda che avvenga dentro il territorio di uno stato o da uno stato all’altro. In questa seconda ipotesi, la libertà è di uscire e di rientrare nel proprio paese.

L’articolo 12 del Patto internazionale sui diritti civili e politici specifica ulteriormente e arricchisce il contenuto dell’articolo 13 della Dichiarazione universale, in particolare stabilendo che la libertà dentro uno stato è dello “individuo che vi si trovi legalmente”, e che tale diritto non può essere oggetto di restrizioni tranne che quelle che, previste dalla legge e compatibilmente con tutti gli altri diritti fondamentali, siano necessarie per proteggere la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, la sanità o la moralità pubbliche, nonchè gli altrui diritti e libertà. Il Comitato diritti umani (civili e politici) delle Nazioni Unite ha affermato che la questione di stabilire se uno ‘straniero’ si trovi legalmente nel territorio di uno stato è materia che rientra nella giurisdizione domestica dello stato interessato, ma che in ogni caso deve essere disciplinata in conformità con gli obblighi internazionali di quest’ultimo. Ha altresì affermato che chi, entrato illegalmente in uno stato, vi è stato successivamente regolarizzato, deve essere considerato alla stregua di chi si trova legalmente nel territorio. Uno straniero espulso legalmente ha il diritto di scegliere il paese di destinazione col consenso di questo.

Anche in questo campo, naturalmente, è vietata la discriminazione. Lo stato deve garantire l’esercizio della libertà di movimento e residenza da interferenze sia pubbliche sia private. Il diritto di una donna di liberamente muoversi e scegliere una residenza non può sottostare alla decisione di un’altra persona, compreso un parente. La garanzia è anche contro ogni forma di trasferimento forzato all’interno dello stato.

Il diritto di lasciare un paese comprende il diritto di ottenere i necessari documenti di viaggio, compreso il passaporto. Uno stato non può rifiutare di prolungare la validità del passaporto di un proprio cittadino che si trovi all’estero e voglia rientrare. Il rifiuto infatti può comportare la deprivazione del diritto di quella persona di lasciare il paese di residenza e di spostarsi altrove.

Le barriere politiche e burocratiche che gli stati frappongono all’esercizio di questo diritto sono praticamente infinite, dalle normative in materia di cittadinanza e immigrazione che ignorano il paradigma dei diritti umani, alle lungaggini e agli ostruzionismi perpetrati in numerosi stati all’interno di ambasciate, consolati, uffici di polizia.

La materia è resa difficile e complicata da un peccato d’origine, cioè dallo spezzettamento della Terra in tanti territori, grandi e piccoli, ciascuno transustanziato insieme con popolo e governo nella “forma” dello stato-nazione-sovrano-confinario. Studiosi hanno teorizzato questa situazione come una generalizzata occupazione coloniale della Terra. Una situazione di difficile perpetuazione, oggi, in presenza dei processi di interdipendenza, globalizzazione, transnazionalizzazione, internettizzazione, low-cost travelling, inquinamento, processi che sbriciolano i confini degli stati e condizionano la governance pervicacemente segnata dall’arroganza, dalla separazione, dalla discriminazione, dall’uso facile delle armi.

Il neoliberismo ha mirato all’abbattimento delle barriere doganali che ostacolano la circolazione delle merci, in nome della libertà degli scambi e della realizzazione del mercato unico mondiale, come dire: sì alla libertà di movimento delle cose materiali in nome della liberalizzazione dei mercati, no a intralci alla libertà di movimento delle persone umane nel rispetto dei loro diritti fondamentali.

Nel sistema dell’Unione Europea c’è un po’ più di coerenza. Come noto, il processo di integrazione economica si è sviluppato all’insegna di “quattro libertà di movimento”: delle merci, delle persone, dei servizi, dei capitali. Un cocktail originale… Con il Trattato di Maastricht è sopraggiunta la “cittadinanza dell’Unione Europea”, quale valore aggiunto alle cittadinanze nazionali dei paesi membri. Con la Carta dei diritti fondamentali dell’UE (Nizza, 2000) si è fatto un ulteriore passo avanti sul cammino della civiltà del diritto. Qualcosa di assolutamente innovativo è arrivata nel 2006 con il Regolamento (congiuntamente deciso dal Parlamento Europeo e dal Consiglio UE), che prevede la creazione del ‘Gruppo europeo di cooperazione territoriale’, dotato di personalità giuridica di diritto comunitario europeo. Si tratta di entità territoriali transnazionali, organizzate con propri statuti ed organi, promosse e composte da enti di governo locali (comuni, province, regioni, lander, contee): insomma le Euro-regioni assumono forma pienamente giuridica. Questi enti sono genuinamente ‘territorio’, ma non ‘confine’. Inizia in Europa la liberazione della territorialità dall’uso monopolistico che ne è stato fatto, con muri e guerre, dagli stati ‘sovrani’.”

  • Dichiarazione universale dei diritti umani: l’Istituto Comprensivo Viola di Taranto testimonia l’articolo 13 (12 Febbraio 2016) – La mia mano che incontra la tua

Simbolo dell’ Europa unita è larticolo 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che sancisce il principio della libera circolazione dei cittadini. Lo spazio Schengen rappresenta un territorio dove la libera circolazione delle persone è garantita. Schengen è il nome di una cittadina lussemburghese dove nel 1985 venne firmato l’ accordo omonimo con l’ intento di creare uno spazio comune nel quale il cittadino non è sottoposto a controlli nelle frontiere interne. Ne fanno parte 26 paesi europei tra cui l’ Italia. Dopo la tragedia di Parigi e l’aumento di migranti, diversi paesi tra cui la Francia, la Norvegia e la Germania si sono trovati in difficoltà e hanno usufruito della possibilità di sospensione del trattato facendo nascere un dibattito. Schengen cioè sembra non più realizzare il sogno di avere un Europa Unita, aperta a ogni cittadino, libera e sicura. Ora secondo gli stati membri dell’UE gli accordi Schengen andrebbero rivisti, rivalutati e modificati. I migranti continuano ad arrivare numerosi dal continente africano e noi non possiamo non aiutare tanti disperati che scappano dalla fame, dalla guerra, da persecuzioni, con la speranza di trovare un posto dove vivere meglio. La migrazione ora viene vissuta come un problema ma deve essere vista anche come qualcosa di positivo sia per chi arriva sia per chi ospita. I migranti provengono da paesi diversi, hanno culture diverse, lingue diverse e modi di vivere diversi. L’integrazione nella società d’arrivo è una sfida di oggi e domani alla quale devono contribuire sia chi arriva, sia chi accoglie. Maggiore sarà la disponibilità dei migranti e dei popoli ospitanti a comprendere le ragioni degli uni e degli altri, più ricco e sereno sarà il futuro per tutti. Il pianeta terra è di tutti e ogniuno deve avere il diritto di vivere serenamente e di realizzare i propri sogni nel rispetto reciproco.

  • Da Uniti per i diritti umani: violazioni dell’articolo 13 – Libertà di movimento

In Myanmar, migliaia di cittadini sono stati detenuti in carcere, tra cui 700 prigionieri politici, tra i quali la più famosa è il premio Nobel Daw Aung San Suu Kyi. Come ritorsione per la sua attività politica, è stata imprigionata o relegata agli arresti domiciliari per dodici degli ultimi diciotto anni, e ha rifiutato le offerte del governo di rilasciarla se avesse richiesto di lasciare il paese.

In Algeria, i rifugiati e coloro che richiedono asilo sono stati vittime frequenti di detenzione, espulsione o angherie. Ventotto individui delle nazioni dell’Africa sub sahariana con status ufficiale di rifugiato concesso dall’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) sono stati deportati a Mali dopo essere stati processati falsamente, senza consulenti legali o interpreti, con l’accusa di essere entrati illegalmente in Algeria. Furono scaricati nelle vicinanze di una città del deserto, dove era attivo un gruppo armato di Mali, senza cibo, acqua o sostegno medico.

In Kenya, le autorità hanno violato la legge internazionale sui rifugiati quando hanno chiuso il confine a migliaia di persone che fuggivano dal conflitto armato in Somalia. Coloro che richiedevano asilo sono stati detenuti illegalmente al confine keniota senza accuse o processo e rimandati a forza in Somalia.

Nell’Uganda del nord, 1,6 milioni di cittadini erano dislocati in campi profughi. Nella regione degli Acholi, l’area più colpita dai conflitti armati, il 63 percento degli 1,1 milioni di profughi del 2005, vivevano ancora nei campi nel 2007. Solo 7.000 sono ritornati permanentemente ai loro luoghi di origine.

  •  Dall’ articolo Colombe di Giovanni De Mauro pubblicato su Internazionale a Marzo 2016

(…) Il sistema di sicurezza ha fallito, scrive l’Economist, e l’Europa deve ormai accettare l’idea che attentati come quello di Bruxelles si ripeteranno con regolarità. Per evitarlo, bisognerebbe innanzitutto togliere terreno sotto i piedi ai terroristi e alla loro capacità di reclutamento nelle periferie delle metropoli europee, nei ghetti e nelle sacche di povertà: fermare le guerre, in Siria e in Medio Oriente; aprire le frontiere e definire politiche di accoglienza comuni; combattere le disuguaglianze, la disoccupazione, la precarietà, la povertà, il razzismo, favorendo al tempo stesso lo sviluppo delle aree più deboli economicamente e distribuendo diversamente le risorse economiche. Probabilmente, invece, la risposta andrà nella direzione opposta: controlli ancora più stretti, misure d’emergenza rafforzate, frontiere ancora più chiuse, caccia agli stranieri, più militari nelle strade, bombardamenti intensificati, budget per gli eserciti aumentati. Come se questo non fosse esattamente il risultato voluto, e sperato, dai terroristi. E come se questo non alimentasse esattamente quella terribile spirale che ci ha portato qui, ancora una volta, a contare i morti di un nuovo attentato.

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