Un diritto alla settimana: verso la Marcia per la Pace. Articolo 16


 Articolo 16

1. Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione. Essi hanno eguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all’atto del suo scioglimento.
2. Il matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi. 
3. La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato.


Spunti di riflessione.

  • Articolo 16 La famiglia fondamentale tratto dal commento del Prof. Antonio Papisca, Cattedra UNESCO Diritti umani, democrazia e pace presso il Centro interdipartimentale sui diritti della persona e dei popoli dell’Università di Padova

L’articolo 23 del Patto internazionale sui diritti civili e politici riprende integralmente il contenuto di questo articolo, facendo però diventare primo comma quello che nell’articolo 16 della Dichiarazione è terzo. E’ la sottolineatura della famiglia quale “nucleo naturale e fondamentale della società”. Lo stesso concetto e collocazione della famiglia figura nella Convenzione interamericana del 1969, nella Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli del 1981, nella Carta araba dei diritti umani del 2004.

La scelta del matrimonio deve essere assolutamente libera, compiuta da persone in età adatta. I coniugi hanno eguali diritti anche durante il matrimonio (per esempio, scelta della residenza, gestione della casa, educazione dei figli) e nell’eventualità del suo scioglimento (separazione legale, divorzio).

Il Diritto internazionale non stabilisce da quale anno cominci la “età adatta”. Questo è compito delle legislazioni interne agli stati, le quali devono però essere compatibili col pieno esercizio di altri diritti umani, per esempio il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione e, prioritariamente, i diritti umani delle bambine e dei bambini. Ciò comporta che gli stati consentano l’esistenza del matrimonio civile e del matrimonio religioso. Il Comitato diritti umani (civili e politici) delle Nazioni Unite precisa che in caso di matrimonio religioso, è legittimo che gli stati ne richiedano la trascrizione ai sensi del diritto civile. Nei casi di scioglimento, è vietato agli stati di porre in atto qualsiasi trattamento discriminatorio per quanto attiene alle procedure di separazione e divorzio, custodia dei figli, mantenimento o indennizzo, diritti di visita, perdita o riacquisto di autorità genitoriale: in questi casi deve comunque sempre prevalere il superiore interesse dal bambino sancito dall’articolo 3 della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia del 1989.

Il concetto di famiglia può differire da Stato a Stato, addirittura all’interno di uno stesso Stato: famiglia ‘nucleare’, famiglia ‘allargata’. In ogni caso, la famiglia “ha diritto” ad essere protetta dallo Stato oltre che dalla società e lo Stato deve provvedervi in modo adeguato. In particolare essa deve essere protetta da interferenze arbitarie o illegali (articolo 12 della Dichiarazione) e al suo interno devono essere garantiti i diritti dei bambini (articolo 25) e degli altri componenti.

Il diritto di fondare una famiglia comporta, in via di principio, la possibilità di procreare. In presenza di politiche di pianificazione familiare, queste devono essere compatibili con i principi e le norme del Diritto internazionale dei diritti umani, in particolare non essere discriminatorie o compulsive: in altre parole, deve essere rispettata la volontà dei coniugi.
Il diritto di vivere insieme dei coniugi comporta l’obbligo degli stati di garantire l’unità e la riunificazione delle famiglie, specialmente quando i loro membri sono separati per ragioni politiche o economiche. In punto di eguaglianza dei coniugi, il Comitato dei diritti umani delle Nazioni Unite afferma che non ci deve essere discriminazione basata sul sesso per quanto riguarda acquisto o perdita della cittadinanza collegata al matrimonio. Deve essere egualmente rispettato il diritto di ciascun coniuge di mantenere l’uso del nome di famiglia originario o di contribuire, su piede di parità, alla scelta di un nuovo cognome. Il concetto di famiglia adottato dal Diritto internazionale dei diritti umani è un concetto forte: la famiglia in quanto tale è soggetto di diritto distintamente dalla soggettività dei coniugi e degli altri componenti, pertanto essa ha diritti e doveri (in particolare, allevare ed educare i figli, assistere i suoi membri anziani o quelli con disabilità).

Il Diritto internazionale ci offre anche un concetto di famiglia per così dire larghissima: la “famiglia umana” i cui membri sono tutti gli esseri umani, senza alcuna distinzione. Anche questa famiglia dilatata non può non avere diritti, in corretto rapporto di scala con il suo ordine di grandezza. La famiglia nucleare può essere protetta, in particolare, mediante adeguate politiche sociali (assegni familiari, asili gratuiti, niente tasse sulla prima casa….). Come proteggere la ‘famiglia umana’ universale? La risposta non può che essere: smantellando gli arsenali bellici, garantendo la vita di tutti i suoi componenti con politiche di sviluppo umano e di sicurezza umana, facendo funzionare democraticamente l’ONU e le altre legittime istituzioni multilaterali, dando più voce ai governi locali nei consessi internazionali, favorendo l’azione solidaristica delle formazioni organizzate di società civile globale.

  • Alessandro Carlini, Dublino, 29 maggio 2015, Svolta storica in Irlanda

Non è stato un plebiscito, ma la vittoria del ‘sì’ è nettissima. Svolta storica in Irlanda, terra di antiche radici cattoliche, che oggi è diventato il primo Paese al mondo a introdurre i matrimoni gay tramite un referendum. I voti favorevoli sono stati a livello nazionale il 62,1%, con punte di oltre il 70% nelle città come Dublino, mentre i ‘no’ si sono fermati al 37,9%. E’ iniziata così la festa nella capitale, con migliaia di persone vestite coi colori arcobaleno che hanno affollato il castello di Dublino. Gli irlandesi hanno deciso di introdurre un emendamento che cambia la loro costituzione, rendendo possibile le nozze fra le persone dello stesso sesso. L’affluenza è stata da record, raggiungendo il 60,5%.

Il premier Enda Kenny, che col suo governo ha fortemente appoggiato la vittoria del sì, ha parlato di ”momento storico” e di ”messaggio da pionieri” che gli irlandesi hanno mandato al resto del mondo. Nel giro di 22 anni il Paese è così passato dal depenalizzare l’omosessualità come reato, all’introduzione delle unioni civili nel 2010, fino al risultato di oggi. Se è stato più forte il voto del ‘sì’ nelle città, comunque anche le zone rurali, più tradizionaliste, si sono largamente espresse in favore del cambiamento.

”Sono così orgoglioso di essere irlandese oggi”, ha detto il ministro per le Pari opportunità Aodhan O’Riordain, fra i promotori del referendum. Sin da quando si è aperto lo spoglio delle schede, questa mattina, si è subito capito il consistente margine di vantaggio del sì, che ha rispecchiato quanto era emerso nei sondaggi. Nel giro di qualche ora la vittoria è apparsa chiarissima, confermata dalle dichiarazioni in arrivo dai due schieramenti. E’ così iniziata la lunga festa, in particolare a Dublino, dove migliaia di persone sono scese in strada per ritrovarsi al castello della capitale e ascoltare la proclamazione del risultato finale. Su Twitter intanto personaggi della cultura e dello spettacolo si complimentavano con gli irlandesi. ”Oscar Wilde sta ridendo nella tomba”, ha detto l’attore britannico Stephen Fry, riferendosi allo scrittore dublinese rinchiuso alla fine dell’800 in un carcere in Inghilterra per la sua omosessualità. ”E’ bello vedere un Paese in cui tutti sono trattati in modo eguale”, ha affermato invece Richard Branson, il patron di Virgin. Approfittando della festa, la senatrice indipendente Katherine Zappone ha colto l’occasione in diretta sulla tv pubblica irlandese Rte per chiedere alla moglie Ann Louise Gilligan di risposarsi ”in questa nuova Irlanda”. Il voto avrà anche importanti ripercussioni sulla chiesa cattolica nel Paese e forse anche all’estero. Mentre i vescovi si erano schierati con la famiglia tradizionale, suore e preti ‘ribelli’ avevano mostrato una maggiore apertura. Dopo la vittoria del ‘sì’, l’arcivescovo di Dublino e Primate d’Irlanda, Diarmuid Martin, ha parlato di ”rivoluzione sociale”. ”La chiesa ora deve fare i conti con la realtà”, ha aggiunto, sottolineando che sarà un ”compito difficile” far arrivare il messaggio del cattolicesimo ai giovani. La ‘rivoluzione’ dell’Irlanda di sicuro avrà ripercussioni in altre realtà, a partire dalla vicina Irlanda del Nord, dove da tempo partiti come il Sinn Fein cercano, senza riuscirci, di introdurre le nozze gay.

  • Matrimoni gay, il Senato tradisce lo spirito della Costituzione, di Stefano Rodotà, pubblicato su La Repubblica (7 settembre 2015)

Era prevedibile, anzi attesa, una dichiarazione critica di esponenti della Conferenza episcopale sul disegno di legge sul riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso. La discussione è benvenuta, secondo la buona regola laica per cui tutte le opinioni meritano rispetto.

Con l’ovvia condizione che non si pretenda di attribuire all’una o all’altra un valore aggiunto legato all’autorità, vera o presunta di chi l’ha manifestata. Una questione a parte, e di non poca rilevanza, è rappresentata dal senso che oggi assume la ben nota frase di Papa Francesco, riferita alle persone omosessuali, «chi sono io per giudicare?».

Il vero problema, e l’incognita, riguardano la cultura politica e la sua consapevolezza di quale sia il significato profondo ormai assunto dal tema dei diritti delle coppie di persone dello stesso sesso. La prima mossa è scoraggiante. Nella ricerca affannosa di un compromesso, si è fatto riferimento alla formula “formazione sociale specifica” per segnare una distinzione tra queste coppie e quelle eterosessuali unite in matrimonio. Ma questo espediente semantico è una forzatura, perché di formazioni sociali parla l’articolo 2 della Costituzione e sotto questa espressione stanno tutte le coppie, come peraltro aveva messo in evidenza, nel 2010, la Corte costituzionale. «Per formazione sociale s’intende ogni forma di comunità, semplice o complessa. Idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona umana nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia».

Sono parole non equivoche e quelle sottolineate mettono in chiara evidenza che, in un quadro di dichiarato pluralismo, famiglia e quelle che oggi chiamiamo “unioni civili” appartengono alla stessa categoria. Inventarsi la “formazione sociale specifica” è un travisamento della Costituzione e la sua vera finalità, dovendo avere il coraggio di chiamare le cose con il loro nome, non è quella di introdurre una distinzione, ma di riaffermare una discriminazione. Così la cultura politica si chiude in un misero orizzonte, conferisce dignità alle peggiori pulsioni e in questo modo si nega al mondo e non tiene in nessun conto una vastissima discussione giuridica che, pure in Italia, ha dato contributi di qualità. Forse, per rendersi conto dei rischi che si corrono, bisognerebbe dare un’occhiata in giro, cominciando da una frase della sentenza con la quale la Corte Suprema degli Stati Uniti, il 26 giugno scorso, ha riconosciuto l’accesso al matrimonio anche per le coppie omosessuali. «Ogni persona può invocare la garanzia costituzionale anche se larga parte dell’opinione pubblica non è d’accordo e il potere legislativo rifiuta di intervenire», perché bisogna «sottrarre le persone alle vicissitudini legate alle controversie politiche». Si può discutere questa affermazione, ma non eludere la questione che solleva: di fronte ai diritti fondamentali della persona la politica deve essere capace di non rimanere prigioniera delle proprie convenienze, pena la propria delegittimazione e l’intervento di altri organi costituzionali.

Gli Stati Uniti sono lontani? Ma l’Europa è vicinissima, visto che il 21 luglio, quindi meno di un mese dopo la sentenza americana, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia proprio per il ritardo con il quale ha finora negato riconoscimento alle coppie di persone dello stesso sesso. L’argomentare di questa sentenza squalifica l’espediente linguistico adottato al Senato, visto che fin dal 2010 la Corte europea ha operato un progressivo avvicinamento tra diritti della coppia coniugata e diritti delle coppie di persone dello stesso sesso, ritenute entrambe meritevoli della tutela accordata alla “vita familiare” dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Ed è bene aggiungere che questa dinamica è stata accelerata dall’articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che ha fatto venir meno il riferimento alla diversità di sesso sia per il matrimonio che per altre forme di costituzione della famiglia.

Ora il Parlamento non è libero di riconoscere o no le unioni tra persone dello stesso sesso (l’Italia è già stata condannata a risarcire i danni alle coppie che hanno fatto ricorso a Strasburgo). Decidendo all’unanimità, la Corte europea ha sottolineato che siamo in presenza di diritti dal cui effettivo riconoscimento dipendono l’identità, la dignità sociale, la vita stessa delle persone. Il legislatore italiano ha il “dovere positivo” di intervenire e la sua discrezionalità è ristretta, poiché ormai la maggioranza dei paesi del Consiglio d’Europa (24 su 47) ha già garantito quei diritti. L’importanza della questione discende dal fatto che siamo di fronte a diritti dai quali dipende la vita delle persone, che non può essere lasciata nell’incertezza o affidata a semplici patti privati o regole patrimoniali. Solo così può essere avviata la cancellazione di una inammissibile discriminazione, fondata com’è solo sull’orientamento sessuale.

Questi riferimenti sintetici dovrebbero essere sufficienti per mostrare che i senatori, per essere una volta tanto coerenti con i criteri europei, hanno una strada ben segnata per quanto riguarda tempi e contenuti, come peraltro avevano già fatto moltissimi studiosi italiani. Piuttosto vi è un altro punto importante nella sentenza europea, dove si dice che i parlamenti nazionali non hanno lo stesso dovere stringente d’intervenire per quanto riguarda l’accesso al matrimonio delle coppie di persone dello stesso sesso. Si sottolinea, però, che questa più ampia discrezionalità dipende dal fatto che ancora solo 9 Paesi su 47 hanno riconosciuto a queste coppie l’accesso al matrimonio. Dunque, non da una immutabile natura del matrimonio. E, poiché si insiste sulla necessità di seguire le dinamiche sociali, il ricorso all’argomento quantitativo significa che, crescendo il numero dei Paesi che introducono il matrimonio egualitario, diminuisce la discrezionalità dei parlamenti nazionali se riconoscerlo o no. Perché aspettare?

  • Unioni civili, Stefano Rodotà a Il Fatto Quotidiano: “Occasione persa, siamo sempre lontani dalla civiltà europea” (26 Febbraio 2016)

“Una giornata infelice”. Stefano Rodotà boccia il compromesso sulle unioni civili. “Un’altra occasione persa dal legislatore” commenta amaramente il costituzionalista in un’intervista al Fatto Quotidiano.
“Per celebrare il risultato ora dicono che è solo l’inizio. Ovvio: meglio che ci sia una regolamentazione, ma non dimentichiamo i suoi enormi limiti. Purtroppo gli interventi sono stati tutti finalizzati a segnare il massimo di distanza possibile tra le unioni civili e il matrimonio. In assoluta controtendenza con la Carta europea dei diritti fondamentali che ha modificato la Convenzione europea cancellando la diversità di sesso per tutte le forme di organizzazione familiare. L’ultimo esempio è l’esclusione della fedeltà, una forzatura che si risolve in un’ulteriore discriminazione per le coppie dello stesso sesso […] Nella Cirinnà l’orientamento sessuale è stato il confine per abbandonare l’articolo 5 sulle adozioni parentali. Causando una doppia discriminazione: ai danni della coppia e ai figli”.
Una legge che doveva sanare una discriminazione non sortisce questo effetto. “Ho sentito evocare la sentenza 138/2010 della Consulta, che porrebbe un vincolo insuperabile: non si può andare verso il matrimonio egualitario. Nella discussione sulla legge se ne è data una lettura ancora più restrittiva sottolineando in ogni occasione la distanza tra matrimonio e unioni civili. Ma c’è un fondamento comune nell’affetto, nella gestione della vita familiare, nella costruzione della genitorialità: i due istituti si incontrano. La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 2005 lo dice esplicitamente. Questa legge, che avrebbe dovuto sanare una discriminazione, non fa altro che ribadirla”.
Un risultato che per Rodotà è insufficiente anche perché frutto di un’errata strategia politica da parte di Matteo Renzi. “Quando Renzi si è trovato dinanzi a divisioni che mettevano in discussione punti essenziali della legge, non ha scelto la strada del confronto, ha pensato di aggirare il problema con il solito espediente procedurale: il supercanguro. Strumento che non era necessario visto che era caduta la maggioranza degli emendamenti. Era possibile aprire una trattativa politica. Invece quando L’Unità pubblica l’sms di Airola alla Cirinnà dà la prova che si è cercato un accordo sottobanco”

  • Innaturale di Emiliano Liuzzi, pubblicato su Il Fatto Quotidiano (25 febbraio 2016)

Il ministro, per mancanza di prove, Angelino Alfano dice sulle unioni civili, basta alle idee contro natura. Cosa sia naturale o meno è un problema irrisolto da tempo: forse di una tra tutte le cose innaturali è quella di votare un partito che governa senza essere mai esistito, se non da una costola (no, quella è una metafora naturale, meglio da un piede) di Forza Italia. Provo a buttare giù una cosa semiseria su cosa, nei miei pensieri, può essere innaturale. Ma sono pensieri miei, non ho mai fatto il maggiordomo di nessuno, soprattutto di Silvio Berlusconi, né sono ministro. Dunque prendetela così, per dirla alla Lucio Battisti. Io a un certo punto mi fermerò, fate voi.
Ncd al governo è innaturale, mai stata eletta.
Promettere la Salerno-Reggio Calabria è innaturale.
Chiamare gufo chi non la pensa come te è innaturale.
Fare la fecondazione assistita in privato e scagliarsi contro in pubblico è innaturale.
Riformare la Costituzione senza voti è innaturale.
E’ innaturale non piangere per i figli.
E’ innaturale non piangere.
E’ innaturale Giovanardi che paragona il rapporto tra persone dello stesso sesso all’accoppiamento con gli animali.
E’ innaturale credere che il Pd sia un partito di sinistra.
E’ innaturale non pensare che Gigi Meroni sia stato il più grande calciatore italiano.
E’ innaturale, se sei livornese, tenere per il Pisa. E viceversa.
E’ innaturale non conoscere a memoria La canzone di Marinella,Senza Fine e La Locomotiva.
E’ innaturale non cantare Umberto Bindi.
E’ innaturale non aver amato Dalla e Jannacci.
E’ innaturale non sapere chi era Beppe Viola.
E’ innaturale non considerare La prima cosa bella un capolavoro.
E’ innaturale non amare il cinema di Vittorio De Sica.
E’ innaturale non aver dato l’Oscar per la miglior regia a Charlie Chaplin.
E’ innaturale amoreggiare via sms.
E’ innaturale non desiderare la donna/uomo dell’altro.
E’ innaturale pensare che i Rolling Stones siano stati più grandi dei Beatles.
E’ innaturale morire di lavoro.
E’ innaturale essere licenziati senza giusta causa.
E’ innaturale non chiedere scusa.
Soprattutto è innaturale non amare, e non importa di quale sesso.
Il resto aggiungetelo voi. Non voleva essere una cosa seria.

  • Tratto da Da oggi l’Italia ha le unioni civili. «Usciamo dal Medioevo» di Luca Sappino, pubblicato su L’Espresso (11 maggio 2016)

Passa alla Camera lo stesso testo approvato dal Senato. Senza adozioni e senza riferimenti al matrimonio, per consolare Alfano, ma adesso le unioni e le coppie di fatto sono legge. I 5 stelle si astengono, esulta il Pd.
372 sì, 51 no, 99 astenuti.
«Le famiglie sono tutte uguali, sono luoghi meravigliosi, di amore», dice Monica Cirinnà per festeggiare
l’approvazione della legge che porta il suo nome, la legge sulle unioni civili e sulle coppie di fatto.
Tutte uguali non è proprio vero, come nota chi critica la legge da sinistra, come Sergio Lo Giudice, perché non è certo il matrimonio egualitario quello approvato dal Parlamento. Però è un grosso passo avanti: «Usciamo dal Medioevo», dice ancora Cirinnà. E questo lo riconoscono un po’ tutti, non solo nel fronte progressista. Elemento curioso del voto della Camera è infatti che pure gli alfaniani (con l’eccezione di Binetti, Cera e Pagano, che si autosospende dal partito) si dicono contenti e persino orgogliosi della legge.

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